In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.
E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!». (Lc 12,35-38)
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli (Lc 12, 37)
È il grande invito che ci pone il vangelo a spendere la nostra vita in modo saggio e previdente, vegliando, pregando e operando il bene, considerando il nostro destino, cioè quelle realtà che noi chiamiamo ultime: la morte, il giudizio finale, l’eternità, l’inferno e il paradiso. E proprio così noi assumiamo la responsabilità per il mondo e costruiamo un mondo migliore. Anche in altri passi della Scrittura viene descritto il futuro come un nuovo paradiso. La teologia scolastica lo spiega in modo semplice. Ad una festa si mangia, in cielo non avremo bisogno di nutrimento per il corpo. Nell’eternità ci nutriremo di pane spirituale, la conoscenza della verità che ci renderà felici. È una spiegazione giusta ma parziale. La gente non va ad una festa solo per mangiare; questo può farlo anche restando a casa. Va soprattutto per incontrare parenti e amici, e per questo in oriente le feste nuziali durano alcuni giorni: le famiglie dei due sposi vogliono imparare a conoscersi. La morte cristiana non è solo l’incontro con Cristo, ma anche con tutti quelli che appartengono alla sua famiglia, una comunione dei santi, dove il prossimo è osservato e amato con lo stesso sguardo di Dio, e dove non esiste la difficoltà, oggi spesso drammatica, della comunicazione.