In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo». (Lc 14,25-33)
Diventa sempre più numerosa la folla che segue Gesù, certamente attratta dall’amabilità del suo essere il Figlio che invita tutti a imparare da Lui che è mite e umile di cuore, il Servo che non opprime, ma libera, instaura la giustizia e fa diventare soave il carico e leggero il peso della sua sequela (Mt 11,28-30). Ma Gesù non è un mero e improvvisato trascinatore di folle che coglie magari l’occasione del momento favorevole per cooptare o illudere quanti più possibile per avere dalla sua parte facili consensi ed esercitare e gestire un qualche potere mondano. A lui interessa la salvezza eterna delle persone e quelli che lo seguono devono esserne consapevoli per sé e per gli altri. Egli è l’unico vero Salvatore e quelli che lo seguono, cioè vogliono veramente andare e stare con lui, devono rinunciare a sé stessi e anteporre l’amore per lui a tutti gli altri affetti e interessi.
Gesù desidera che tutti si coinvolgano con lui per essere veramente figli del Padre suo celeste divenendo partecipi della sua santa e autentica umanità, vissuta, come lui, nella piena comunione con il suo stesso Padre e lo Spirito Santo. Bisogna amare in modo ordinato se stessi e il prossimo: Dio al di sopra e prima di tutti e di tutto e il prossimo come sé stessi, cioè in Dio (Mt 22,37- 39). Questa vera antropologia, questa piena esperienza di vita, non può essere improvvisata poiché necessita di una continua riforma personale. Pertanto è necessario mettere da parte ogni velleitarismo, vincere la tentazione della mediocrità ed esaminare attentamente le forze di cui si è in possesso, non per scoraggiarsi, ma per intraprendere consapevolmente il cammino in salita, ben equipaggiati, con le forze necessarie al fine di raggiungere la meta della vita eterna.
Dunque, rinunciare, costruire, combattere. Rinunciare al proprio “io” per accogliere Dio nella propria vita. Non significa eliminare la vasta gamma di relazioni interpersonali e con le altre realtà dei beni creati, ma desiderare di riordinare la vita personale, secondo la specifica vocazione, nella dinamica dell’amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e il prossimo come se stessi, cioè in Dio e non secondo altre prospettive. Innalzeremo nuovamente, in noi e attorno a noi, magnifiche “cattedrali” e “castelli” ben fortificati, per continuare a pregare e a combattere, meglio ancora che nel passato. Per questo sarà necessario combattere anche la “buona battaglia” della fede contro gli assalti del nemico della natura umana e dell’empietà dei suoi “utili idioti”. Il Signore ci ha pure avvertirti di fare bene i conti affinché non ci vengano meno le forze, di fronte ai furenti e violenti nemici, che vogliono la nostra morte. Li sconfiggeremo con la forza della speranza e della carità che il nostro Re ha conquistato per noi con la sua morte e Risurrezione.