In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce». (Lc 16,1-8)
Noi cristiani siamo disincantati davanti ai beni materiali. Certamente li usiamo, poiché ci sono donati per la nostra esistenza quotidiana, ma li adoperiamo con il distacco necessario per evitare l’illusione di riporre in essi la nostra sicurezza e felicità. Gesù infatti ci ha avvertiti che è da stolti ritenersi finalmente felici e sicuri quando si dispone di molti beni. La nostra vita in realtà non dipende dall’abbondanza dei beni materiali accumulati, ma dall’uso che ne facciamo, non per riposare, mangiare, bere e darsi ai divertimenti, bensì per arricchirsi spiritualmente davanti a Dio (Lc 12,13-21). Oggi apprendiamo, dalla pagina evangelica della S. Messa, un ulteriore insegnamento di Gesù sull’uso dei beni materiali. Per servirsene correttamente è necessario, oltre al “distacco” di cui sopra, adoperarli con “scaltrezza”. I figli di questo mondo la usano, secondo le loro consuetudini, per affrontare efficacemente le difficoltà emergenti nelle vicende della vita quotidiana. La “scaltrezza” dell’amministratore della parabola raccontata da Gesù, per noi cristiani è l’intelligente attenzione a pensare ed agire secondo le esigenze del regno di Dio dentro e fuori di noi. Il mondo le studia tutte per garantirsi l’illusione della falsa felicità. Gesù sollecita in noi suoi discepoli almeno lo stesso impegno per elaborare uno stile di vita improntato alla bellezza creativa della nuova umanità cristiana da coltivare per facilitare la vita virtuosa in comune (Lc 16,20s. LG 36, c) nella prospettiva della vera felicità a misura d’uomo e secondo il piano di Dio.
Nei tempi bui che stiamo attraversando, tutti i figli della luce sentiamo la responsabilità di diffondere la luce di Cristo nelle molteplici condizioni della nostra vita personale e sociale. Ci impegniamo ad essere ben piantati, per mezzo della cultura della fede cristiana, sulle nostre radici che hanno dato vita all’albero rigoglioso della Civiltà cristiana dalla quale proveniamo e che, dopo tanto accanimento di altri per cancellarla, è necessario far rivivere. I “figli di questo mondo” si agitano con ogni furbizia a strapparci dalle nostre radici dando fiato affannosamente alle sirene di un progresso e di una libertà senza meta e senza ideali, funzionali solamente alla soddisfazione di ogni e qualsiasi desiderio senza Dio, senza Patria e senza Famiglia. Però questa deriva autodistruttiva che i potenti del mondo cercano di imporre all’umanità contemporanea, sta suscitando provvidenzialmente fenomeni di resistenza e di rifiuto. Suona ancora una volta la nostra ora. Con la grazia di Dio, rinsaldiamo le fila e, come chiesa sinodale in uscita, spieghiamo a tutti, ,a cominciare dai ragazzi, dai giovani e dai loro genitori, che siamo stati creati da Dio per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita e poi goderlo nell’altra in Paradiso. Sì, nel Paradiso dopo la morte, poiché quello su questa terra non esiste, ma è stato inventato dal Nemico della natura umana per sedurre, ingannare e trascinare i suoi “utili idioti” nell’infelicità della disperazione, nel buio dell’Inferno eterno.