In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!». (Mc 13,33-37)
Sul piano morale esiste un terribile anestetico: l’abitudine. Chiaramente non faccio riferimento alle buone abitudini di un sano regolamento di vita. In tal caso si parla di comportamento virtuoso. Intendo le cattive abitudini, oppure quel “fare cose sante”, ma senza una rinnovata quotidiana partecipazione interiore. Posso compier tutta la vita gli stessi gesti lavorativi. Ma rendendomi conto che Dio mi chiede questo, e non vedo nulla di meglio da fare oggi. Allora sono gesti sempre nuovi, mettono a frutto tutte le mie capacità, e sono da Dio benedetti, portano molto frutto. L’abitudine è come un parassita, che ti anestetizza e ti sfrutta. È forse peggio di un parassita. Prima ti addormenta e poi ti divora energie slancio e volontà.
L’abitudine al vizio addormenta la coscienza, per cui uno non sente neppure il rimorso, crede di stare benissimo e non si accorge che sta morendo spiritualmente. Così si giunge a smettere di pregare e da lì iniziano i compromessi col peccato. L’unica salvezza, quando sei aggredito da un parassita, è che qualcosa venga improvvisamente a svegliarti e scuoterti dal sonno. Questo è quanto si prefigge la parola di Dio odierna con quel grido di risveglio che ci fa ascoltare così spesso durante l’Avvento: “Vigilate!” “È ormai tempo di svegliarvi dal sonno!” (Rom 13, 11). “Svegliati tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà!” (Ef 5, 14).