In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita?
In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite.
Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda» (Matteo 18,12-14).
Gesù con la sua predicazione annuncia la venuta del Regno di Dio, che è Egli stesso in mezzo a noi (cfr. Lc 17, 20-21) e insegna che non i sapienti o i dotti del mondo, ma i “piccoli” sono il modello di chi attende veramente il Regno di Dio e proprio chi è come loro ne è il destinatario (cfr. Mt 18,1-5; Mc 9,30-37; Lc 10, 21-24).
In questo contesto della predilezione di Gesù per i piccoli, l’evangelista Matteo attira la nostra attenzione, come leggiamo nel Vangelo della S. Messa di oggi, sulle stesse parole di Gesù che nella Parabola della “pecora smarrita” presenta la sua speciale sollecitudine di “buon pastore”.
Il Padre celeste non vuole che i piccoli si perdano. Infatti già nell’Antico Testamento biasimava i cattivi pastori che non si prendevano cura del gregge, ma semplicemente ne traevano profitto per il loro nutrimento. Poco s’impegnavano a custodirlo e lasciavano che le pecore si disperdessero, abbandonate a sé stesse quando le bestie feroci le aggredivano per divorarle (cfr. Ez 34,1ss.).
Pare che al tempo di Gesù questo fenomeno del cattivo pastore esistesse ancora. Gesù lo fa notare: chi non è pastore scappa davanti al lupo che assale le pecore, per paura le lascia incustodite, a lui non importa delle pecore e fugge davanti al pericolo. Non ama mettere a repentaglio la propria vita per le pecore, del resto è un semplice mercenario (cfr. Gv 11,12s).
In realtà Gesù è il vero pastore che dà la vita per ciascuna delle sue pecore. E quando questa si trova smarrita, dispersa alla vana ricerca di sicurezza fuori dall’ovile, abbandonata dal finto pastore, Egli ha già intrapreso il faticoso cammino per cercarla e ricondurla all’ovile. È proprio il Buon Pastore che soffre per la sua pecora smarrita poiché, come il Padre celeste, non vuole che si perda e dunque profonde ogni sollecitudine per salvarla.
L’insegnamento di Gesù nella parabola di oggi e nelle sue altre parole sul buon pastore è sempre attuale ed infonde responsabilità, fiducia e coraggio. Tutti ci accorgiamo di non essere ancora arrivati in Paradiso e siamo costantemente aggrediti dal Nemico della natura umana. Egli è invidioso della nostra salvezza, operata da Gesù che ci ha messo al sicuro nella sua Chiesa, che non può essere sconfitta. Per questo il Diavolo, angelo ribelle, decaduto e invidioso della nostra amicizia con Gesù, ci aggredisce con la tentazione di salvarci da soli e a modo nostro.
In questa condizione siamo chiamati a riprendere il contatto vivo e personale, amichevole e umile con Gesù nella preghiera e nell’Adorazione eucaristica. Sarà sempre importante mettere nel Cuore di Gesù la nostra vita e rinnovargli la promessa di impegnarci al suo servizio.
Solo così avremo nuovamente il coraggio di servire la buona causa dell’edificazione di un mondo migliore. Saremo entusiasti di chi ci guida ad immagine del Buon Pastore e non abbasseremo il livello di guardia davanti ai “lupi” che ci vogliono aggredire e divorare. Seguiremo Gesù Via, Verità e Vita e non ci lasceremo disperdere nei dirupi di un amore malato e morente nell’aggressiva violenza verbale e fisica con cui invano ci vorrebbero fermare.
Noi proseguiremo. Ci lasceremo condurre dal nostro vero Pastore. Ci affezioneremo a lui e riceveremo in dono la mitezza e l’umiltà del suo Cuore. Gusteremo la libertà di prendere su di noi il suo gioco: il carico sarà soave e il peso leggero (cfr. Mt 11,28-30). Non perderemo la ricompensa eterna in cielo e con noi l’avranno anche quelli che ci avranno seguiti, anche da quel nuovo mondo che la Beata Vergine Maria da Guadalupe ha difeso e vivificato con le sue puntuali cure di Madre.