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Il pensiero del giorno

5 Marzo 2024 - Autore: Don Giuseppe Zanghì


In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”.  Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello» (Matteo 18,21-35).


Nei rapporti interpersonali privati e comunitari, nonostante il lodevole impegno per evitarle, non mancano ingiustizie e offese varie, da non confondere con la semplice, doverosa e franca proposta della verità alla quale bisogna sempre aderire volentieri. Le offese vere e proprie sono causate, se non da cattiverie, talora almeno da superficialità, inavvertenza o, peggio, da immaturità sul piano psicologico e spirituale di chi ancora non ha deciso di iniziare il combattimento spirituale della riforma di vita con l’aiuto di Gesù e di Maria. Ma anche chi si impegna nel cammino della perfezione cristiana, oltre a essere non di rado ferito da offese più o meno pesanti, ne determina a sua volta egli pure nel prossimo, a motivo della persistente miseria umana, triste retaggio del peccato originale. Le offese toccano la comunità e anche il fratello o la sorella singolarmente e, secondo l’insegnamento di Gesù riportato anche dall’evangelista Matteo, configurano lo stato di colpa in chi l’ha provocato.

Quale comportamento adottare verso chi ci offende? La risposta chiarissima, definitiva e senza ambiguità è presentata nel Vangelo: Gesù stabilisce la grande legge del perdono. Molto significativo l’atteggiamento personale da adottare verso chi si è reso colpevole pubblicamente. Innanzitutto ammonirlo privatamente. Poi, se è necessario, farsi aiutare da persone sagge, capaci di promuoverne il pentimento. Infine, per evitare la caduta del colpevole nel rovinoso isolamento, bisogna favorirne la volenterosa reintegrazione mediante l’intervento autorevole della comunità (cfr. Mt 18,15-17).

Per la colpa privata, da fratello a fratello, vale sempre la stessa legge del perdono. Gesù insegna la necessità inderogabile del perdono a partire dalla quinta domanda del Padre Nostro: «Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12; cfr. 6,14-15; 9,2-6; 12,31-32) poiché il suo «sangue dell’alleanza […] è versato per molti per il perdono dei peccati» (Mt 26,28).

Il Vangelo della Santa Messa di oggi presenta la parabola del servo ingrato, che è senza pietà verso un suo simile. Vi emerge ancora una volta il drammatico dovere della magnanimità nel perdono che, per essere vero e sincero, deve superare ogni limite: si deve perdonare sempre, tenendo aperta la porta del cuore per accogliere l’offensore che ritorna da sé stesso, o grazie alla ricerca di chi lo perdona.

San Teofilo di Cesarea di Palestina Vescovo

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