In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio» (Giovanni 3,14-21).
Il Santo Padre Francesco ci ha detto, nel messaggio per questa Quaresima, che Dio ci chiama alla libertà, dalla schiavitù della perdita della speranza. Per questo ci ha invitati a consolidare, nella pratica della vita cristiana ecclesiale, le virtù della fede, della speranza e della carità.
Nelle tre domeniche quaresimali già celebrate, ci siamo esercitati, con la forza della preghiera, del digiuno e della carità, nella lotta per vincere le tentazioni del Nemico della natura umana. Abbiamo avuto la consolazione di stare bene con Gesù. Alla sua scuola abbiamo posto rinnovata attenzione a seguire la via della croce imparando dall’ascolto della sua parola che lì si trovano la vita e l’amore. In comunione con Cristo che dona sé stesso sulla croce nel sacrificio dell’amore – scandalo-debolezza per gli ebrei e follia per i pagani – noi sentiamo di essere chiamati alla potenza e alla sapienza che conducono alla felicità e alla gloria.
Oggi, in questa quarta Domenica di Quaresima, il nostro obiettivo è dunque stabilirci nella fede per avere la vita eterna. A Nicodemo, maestro in Israele, leale e aperto al suo mistero, il giovane maestro di Nazareth spiega che deve rinascere dall’acqua e dallo Spirito Santo, per mezzo della fede in lui che deve essere innalzato (cfr. già Sap 16,7). Non sappiamo quale sia stata, per Nicodemo, la sostanza del suo essere credente in Cristo. Ma è eloquente il suo coraggio, quando Gesù è condotto davanti al Sinedrio, nel chiedere per lui un regolare processo prima dell’eventuale condanna (cfr. Gv 7,50-51), come anche è significativa la sua presenza al Calvario con Giuseppe di Arimatea per avvolgere nelle bende il corpo morto di Gesù e dargli sepoltura (cfr. Gv 7,39-40).
Noi cristiani siamo già incorporati a Cristo. Grazie al Battesimo e alla vita sacramentale siamo candidati alla vita eterna. Ma non c’è nessun automatismo, né possibilità di accampare diritti staticamente acquisiti. Infatti il cristiano è chiamato a vivere liberamente la dinamica della fede e della carità, in un crescendo continuo di responsabilità, non in modo intimistico, ma nella concretezza dei rapporti interpersonali, affinché appaia chiaramente che le sue opere sono state compiute in Dio.
Dice il Papa: «Nella misura in cui questa Quaresima sarà di conversione, allora, l’umanità smarrita avvertirà un sussulto di creatività: il balenare di una nuova speranza. Vorrei dirvi, come ai giovani che ho incontrato a Lisbona la scorsa estate: “Cercate e rischiate, cercate e rischiate. In questo frangente storico le sfide sono enormi, gemiti dolorosi. Stiamo vedendo una terza guerra mondiale a pezzi. Ma abbracciamo il rischio di pensare che non siamo in un’agonia, bensì in un parto; non alla fine, ma all’inizio di un grande spettacolo. Ci vuole coraggio per pensare questo” (Discorso agli universitari, 3 agosto 2023). È il coraggio della conversione, dell’uscita dalla schiavitù. La fede e la carità tengono per mano questa bambina speranza. Le insegnano a camminare e, nello stesso tempo, lei le tira in avanti».