In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,1 – 8).
Il messaggio dell’Antico Testamento è la misericordia di Dio, e il Nuovo lo completa con la rivelazione che Dio è Padre celeste. Una dottrina negata dalle scuole filosofiche dell’Antichità: Dio è la prima causa, l’esempio di ogni perfezione, ma è chiuso in sé stesso, tutta la felicità la tiene per sé, non subisce nessuna influenza dall’esterno. Dunque, non possono commuoverlo le miserie degli uomini, né esaudisce le loro preghiere.
Cristo non discute con i filosofi, ma prova la paternità di Dio nello spirito della tradizione biblica. Nessuno ha mai veduto Dio (Gv 1,18), ma lo vediamo riflesso nelle sue immagini, la più perfetta delle quali è l’uomo (Gn 1,26). «Nella predicazione dei profeti la misericordia significa una speciale potenza dell’amore, che prevale sul peccato e sull’infedeltà del popolo eletto» (san Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia, n.4).
La liturgia odierna ci invita a pregare sempre senza mai stancarsi. Se Cristo è dovuto venirci a presso, fino a farsi pane per nutrirci, la vicinanza a Lui, indispensabile per mantenere fede e virtù, cioè la salvezza, corrisponde ad uno stato di preghiera continua: siano parole recitate, letture o opere materiali, la volontà di Dio è sempre preghiera.
La protagonista di questa parabola è una vedova che, a forza di supplicare un giudice disonesto, riesce a farsi fare giustizia da lui. Il giudice non ascoltava la donna perché lei non aveva soldi da dargli: ai tempi i magistrati erano tutti corrotti! Il giudice non le dava niente perché lei non pagava! Il giudice e il suo assistente volevano paghe esose, non temevano Dio e il suo giudizio, e tanto meno il prossimo. La condizione della vedova, come dell’orfano, in Israele era pessima, perciò questa vedova sembra priva di ogni possibilità. Non può nemmeno appellarsi a principi religiosi, perché a questi livelli di corruzione Dio è assai lontano. Ma a forza di supplicare il giudice disonesto, ottiene la sua attenzione. Gesù ora passa ad un argomento detto “a fortiori”: se la vedova è riuscita a convincere quel giudice, volete che Dio non ascolti noi, se lo preghiamo con insistenza? L’espressione di Gesù è molto forte: «E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di Lui?». Dio ci chiede questa costanza affinché manteniamo una sana tensione alla verità, la quale è da difendere con tanti gesti e piccole mansioni quotidiane, da svolgersi tutte in tempi e modi santi. La preghiera genera stati altamente riflessivi di unione grazia-intelletto-cuore, che abbattono tutti i peccati, fanno vedere e intuire le occasioni che Dio manda quotidianamente, affinché gettiamo le nostre reti dove la pesca è abbondante. Inoltre, Dio vuole lottare assieme a noi, stare al nostro fianco, nella lunga lotta quotidiana contro il peccato! Ma Lui è nostro alleato, la fede in Lui è forza invincibile che si esprime con la preghiera. Ci chiede oggi il Signore di conservare la fede, anche mariana, vale a dire la massima difesa della Verità che ci fa liberi.