Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: “Perché a loro parli con parabole?”. Egli rispose loro: “Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. Così si compie per loro la profezia di Isaia che dice:
Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete.
Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,
sono diventati duri di orecchie hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi,
non ascoltino con gli orecchi non comprendano con il cuore
e non si convertano e io li guarisca!
Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono! (Mt 13, 10-17)
“Perché a loro parli con parabole?” – domandano i discepoli (Mt 13, 10). E Gesù risponde ponendo una distinzione fra loro e la folla: ai discepoli, cioè a coloro che si sono già decisi per Lui, Egli può parlare del Regno di Dio apertamente, invece agli altri deve annunciarlo in parabole, per stimolare appunto la decisione, la conversione del cuore; le parabole, infatti, per loro natura richiedono uno sforzo di interpretazione, interpellano l’intelligenza ma anche la libertà. Spiega San Giovanni Crisostomo: “Gesù ha pronunciato queste parole con l’intento di attirare a sé i suoi ascoltatori e di sollecitarli assicurando che, se si rivolgeranno a Lui, Egli li guarirà” (Comm. al Vang. Di Matt., 45, 1-2). In fondo, la vera “Parabola” di Dio è Gesù stesso, la sua persona che, nel segno dell’umanità, nasconde e al tempo stesso rivela la divinità. In questo modo Dio non ci costringe a credere a Lui, ma ci attira a Sé con la verità e la bontà del Figlio incarnato: l’amore, infatti, rispetta sempre la libertà.
(cfr – Benedetto XVI° – Angelus, 10 luglio 2011)