Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: “Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori”. (Lc 2, 33-35)
Che fra tante persone, fra mamme con il bimbo in braccio, e fra tanti bimbi Simeone nel tempio avesse potuto riconoscere il Messia è davvero stupefacente. Si racconta nella vita di Giovanna d’Arco che recatasi alla corte di Carlo VII, venne messa alla prova dal re francese. Sul trono fece sedere uno dei suoi cortigiani. Giovanna, però, con grande stupore del re, riconobbe subito il sovrano, confuso in mezzo agli altri nobili della corte. Questo aneddoto che si legge nella storia è stato verificato anche teologicamente. Il re francese era un consacrato di Dio e i santi sanno riconoscere le cose sante. Parliamo di santi che hanno avuto questo dono specifico chiamato ierognosi cioè conoscenza del sacro.
Come santa Caterina da Siena che riprese severamente un sacerdote che le aveva offerta una ostia non consacrata. Da dove deriva questa conoscenza? Certamente da un dono dello Spirito Santo, ma ovviamente anche dalla disponibilità ad aprirsi a tale dono. Ma ogni cristiano porta una sacralità. Perché il problema non è portare il sacro, dato che tutti quanti siamo ad immagine di Dio. Il problema è trovare qualcuno che come Simeone o come i santi mistici riescano oggi a decodificare nella vita di ogni giorno la sacralità che portiamo. Certo, Maria e Giuseppe portarono il bambino al tempio, come ordinariamente accadeva in Israele, coscienti che l’esperienza ordinaria della maternità si intreccia con lo straordinario dell’annunciazione. Tutto appare quotidiano, ma loro sanno mantenere e custodire il mistero di Dio. Il bambino non può ancora parlare ma anche loro sono in-fanti, non sanno parlare, non hanno parole per spiegare l’evento, potrebbero raccontare i fatti accaduti ma tutto appare così incredibile. Anche ai loro occhi. Meglio tacere e lasciare che sia Dio a parlare.
E Dio parla attraverso il vecchio Simeone e dice parole sorprendenti, anche per Maria e Giuseppe. Vivere in compagnia di Dio non vuol dire camminare lungo strade fasciate di luce. Al contrario. Chi vuol arrivare alla Luce che non conosce, deve avere il coraggio di esplorare vie che non ha mai percorso. Maria e Giuseppe hanno ricevuto la visita degli angeli, hanno accolto parole misteriose che vengono dal cielo, eppure restano in silenzio. Profeti muti. Non hanno la pretesa di capire tutto, né di spiegare tutto. Portano fra le braccia Colui che è Parola, la definitiva Parola di Dio, Colui che dice parole che il tempo non potrà consumare. Il loro silenzio è al servizio di quella Parola. Chi porta Gesù deve lasciare a Lui il primo posto, non poche volte le nostre parole soffocano l’eterna Parola, la nostra ansia di protagonismo toglie a Dio il posto che gli spetta. “Dio, il primo servito”: era la regola della famiglia Martin che aveva scelto la famiglia di Nazaret come modello ideale. Il silenzio orante delle anime raccolte, predispone ad accogliere le visite del Salvatore, Luce da Luce. (cfr don Mastrolonardo; WWW Punto famiglia)