“Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.” (Lc 17, 7-10)
La parola “inutili” non traduce esattamente la parola greca. La traduzione corretta sarebbe “inadeguati”. Giungiamo prima o poi tutti a toccare con mano i nostri limiti, i difetti, le mancanze, le debolezze, la poca capacità di capire. Gesù Cristo rivolge tutto questo in positivo dicendo: “Io ho scelto voi, non voi avete scelto me” (Gv 15, 16). Questo infonde una grande tranquillità, perché siamo stati scelti con tutte le nostre incongruenze che ci distanziano dal Salvatore, il quale ci ha scelti a partire da una piena conoscenza di noi singolarmente. Sarebbe da temere una scelta fatta da un amore cieco che ci ritiene perfetti. Ci ha scelti il Salvatore pur essendo noi inadeguati. Ma rientriamo nel suo progetto!
Possiamo utilizzare tutti inostri limiti su cui porre la Sua volontà salvifica acquisendo tutte le virtù che Gesù stesso desidera donarci. La parola servitore appartiene al passato ed esprime un rapporto di lavoro umiliante. Ma i servitori non vivevano sempre male. A volte nei palazzi dei re e dei nobili c’erano un gran folla di fannulloni che lavoravano pochissimo ed erano nutriti, vestiti e protetti. Ma la loro condizione dipendeva da come sapevano soddisfare i loro padroni. In certe famiglie borghesi c’erano spesso delle vecchie serve che facevano parte della famiglia. Però per tutti valeva lo stesso imperativo: mai contraddire il volere del padrone. Lo stato giuridico di servo degrada la dignità dell’uomo, lo umilia. Allora il nostro servizio a Dio deve essere per forza espresso in questi termini? Cristo non ha forse detto agli apostoli che non li considerava servi, ma amici? (Gv 156, 15). Il vangelo usa nella stessa frase tutte e due le parole: servi e amici, il servizio a Dio e l’amicizia con Lui. Sono due condizioni conciliabili, perché sottomettersi a Dio non umilia, ma esalta. È il miracolo del mistero di Cristo.
(cfr. O. Benzi – Il Pane quotidiano; T. Spidlik – Il vangelo di ogni giorno)