In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipòcriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando pregate, non siate simili agli ipòcriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipòcriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà». (Mt 6, 1-6.16-18)
Il paradiso in terra è il cuore dell’uomo quando è abitato da pensieri puri e belli. Questo stato di beatitudine ci abbandona se siamo presi dal piacere di un buon cibo. Siamo esseri limitati: ci concentriamo su una cosa, dimentichiamo l’altra. Il cibo distrae dalla sfera spirituale. Allora il digiuno è una sorta di ritorno al paradiso, perché Dio torna ad essere al centro dell’attenzione. Presso gli asceti troviamo esempi di un digiuno simile a quello dei fachiri. Secondo la biografia di San Pacomio, i monaci egiziani mangiavano pane nero e duro, fatto una volta all’anno, inzuppato nell’acqua. Alcuni impastavano la farina con la cenere perché il pane diventasse amaro. Non usavano olio né carne, solo legumi, che mangiavano crudi. Alcuni digiunavano anche parecchi giorni di seguito. San Pietro di Alcantara mangiava qualcosa ogni tre o quattro giorni. San Francesco d’Assisi dopo quasi quaranta giorni di digiuno mangiò per umiltà un pezzo di pane, per non illudersi di poter fare come Cristo. Molti di questi racconti sono leggendari e non vanno presi troppo alla lettera.
San Tommaso d’Aquino dice che in certi casi è addirittura peccaminoso imitare alla lettera i digiuni di cui parlano le vite dei santi. Elemosina, preghiera e digiuno: è il tracciato della pedagogia divina che ci accompagna non solo in Quaresima, verso l’incontro con il Signore Risorto; un tracciato da percorrere senza ostentazione, nella certezza che il Padre celeste sa leggere e vedere anche nel segreto del nostro cuore. Iniziamo fiduciosi e gioiosi l’itinerario quaresimale. Quaranta giorni ci separano dalla Pasqua; questo tempo forte dell’anno liturgico è un tempo propizio che ci è donato per attendere con maggior impegno alla nostra conversione, per intensificare l’ascolto della parola di Dio, la preghiera e la penitenza, aprendo il cuore alla docile accoglienza della volontà divina per una pratica più generosa della mortificazione, grazie alla quale andare più largamente in aiuto del prossimo bisognoso: un itinerario spirituale che ci prepara a rivivere il Mistero Pasquale. (cfr. Benedetto XVI° – Commenti ai Vangeli – Ed Palumbi – p. 84)
(cfr. T. Spidlik – Il Vangelo di ogni giorno – Ed LIPA – p. 11-12)