« Giunsero a Betsàida, e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo. Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: “Vedi qualcosa?”. Quello, alzando gli occhi, diceva: “Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano”. Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa. E lo rimandò a casa sua dicendo: “Non entrare nemmeno nel villaggio” » (Mc 8,22-26)
Questo episodio è unico tra i racconti di miracoli di Gesù: è infatti l’unico caso in cui la guarigione avviene attraverso due passaggi. Come in tutti gli altri miracoli anche qui lui si cela un duplice significato: è un’opera di bontà e di potenza che rivelano l’identità di Gesù, ma è insieme un evento che significa il processo con cui i suoi discepoli arrivano alla fede. In questo si collega con quanto Gesù ha appena detto: « Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite ? » (v. 18). In altre occasioni le guarigioni avvengono istantaneamente: in questa occasione no. Evidentemente non dobbiamo attribuire questo ad una debolezza del Signore Gesù, ma qui Gesù vuol far capire che l’accesso alla fede e il progresso della fede avvengono negli uomini a tappe. Ma c’è un altro insegnamento capitale che qui ora ci viene impartito. Gesù utilizza la sua corporeità come uno strumento per comunicarci la grazia. Lo fa con modalità che ci possono perfino scandalizzare: usa la sua saliva e impone ripetutamente le mani. Tutto l’ordine sacramentale è fondato sulla “carne” di Gesù. Il Signore non ha ripulsa davanti al corpo dell’uomo e se ne serve senza “ritegno”, insegnando anche a noi ad avere nei confronti della nostra “carne” un atteggiamento di attenzione, rispetto e identificazione. Non “abbiamo” un corpo, ma “siamo” il nostro corpo. Nell’uomo c’è certamente qualcosa che lo trascende, ma mai e poi mai se ne deve distaccare con disdegno. La separazione dal corpo sarà un passaggio inevitabile nel nostro cammino spirituale, ma – appunto – un passaggio non un distacco definitivo. Il cieco (non era cieco dalla nascita, parla infatti di “alberi che si muovono”, che aveva dunque già visto in una fase precedente della sua vita) una volta recuperata la vista ἐνέβλεπεν, cioè “vide distintamente”. La sua vista fu in grado di penetrare dentro le cose, di scorgerne il senso, di coglierne il mistero. La stessa vista con cui vedeva ormai gli altri uomini, divenne capace di fargli “vedere” l’azione di Dio attorno a lui e in lui. Chiediamo al Signore di amare il nostro corpo, come dono suo, componente irrinunciabile della nostra identità e destinato – con la resurrezione – a diventare strumento del nostro vedere, udire, sentire spirituali.