« Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato » (Mt 23,1-12)
Il capitolo 23 di Matteo rappresenta il culmine di una lunga contrapposizione tra Gesù e la autorità religiose di Israele. Il linguaggio del Signore è qui particolarmente duro; dobbiamo quindi stare attenti a non fraintenderlo. Gesù non se la prende con l’autorità religiosa o la funzione di guida nelle questioni religiose e non intende affatto sopprimerle o sminuirle. Il suo intento è esattamente il contrario: è proprio perché considera questa funzione come importantissima e delicatissima che mette vigorosamente in guardia contro gli abusi a cui facilmente si è indotti nel suo esercizio. Gesù infatti riconosce innanzitutto l’autorità degli scribi e dei farisei: « Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono ». La cattedra era un seggio in pietra situato in posizione preminente nelle sinagoghe del tempo in cui si sedeva colui che presiedeva l’ufficio settimanale. Per sottolineare e rendere visibile questa autorità c’erano anche degli abiti e degli ornamenti speciali. Come, in un esercito, gli ufficiali e i sottufficiali si vestono in modo parzialmente diverso e portano “i gradi”: scialli dotati di frange (tallit o tzitzit) prescritti dalla legge (Nm 15,37-39) e contenitori di cuoio contenenti passi della Legge da portare legati alla fronte o alla mano sinistra durante la preghiera (tefillin o filatteri, cfr Dt 6,8; 11,18). Gesù non rifiuta di essere chiamato Rabbi (letteralmente ‘mio Grande’) e porta anche lui il tallit; quello che sottopone a dura critica è l’ipocrisia che si manifesta soprattutto in due atteggiamenti: innanzitutto la durezza nell’imporre agli altri il rigore della legge, senza misurarne in concreto la difficoltà. È l’atteggiamento caratteristico di chi si lascia andare ad affermazione astratte e particolarmente dure, proprio perché non fa nessuno sforzo serio di praticarle con il cuore, cioè con il proprio impegno concreto, libero e consapevole. Per esempio chi parla con enfasi al bar di calcio tranciando giudizi a destra e a manca, quando non sarebbe capace neppure di dare un calcio ad una palletta da bambini… O chi, sempre al bar, invoca la necessità di una crociata contro l’Islam, a cui naturalmente non ha nessuna intenzione di partecipare (non ne sarebbe neppure capace…). Questo stile, di norma, si accoppia con l’amore esagerato per l’esteriorità, cioè per i titoli o gli emblemi. Anche qui vale il principio di ordine invocato da Gesù: « Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle » (Mt 23,23). I titoli sono importanti (cristiano, presbitero, vescovo…), ma devono essere riempiti di responsabilità e di spirito di servizio, altrimenti diventano delle trappole per chi li invoca. Bisogna appoggiare il giogo della Legge sulle spalle del fedele delicatamente, con pazienza e misericordia, aiutandolo con l’esempio e con la propria intercessione. « Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero » (Mt 11,29-30). C’è chi si arrabbia (giustamente) perché si vuole togliere il Crocifisso dalla scuola di suo figlio, ma si guarda bene dal fare il benché minimo sacrificio per partecipare alle assemblee dei genitori e lì manifestare il suo dissenso, contribuendo così, in concreto, ad un reale cambiamento di indirizzo… Atteggiamenti che sono presenti oggi anche nei cristiani, sacerdoti e fedeli, a cui il Signore rivolge lo stesso duro rimprovero. Anzi, a ben guardare, un rimprovero molto più forte, perché « A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più » (Lc 12,48)