« Il Signore prese a dire a Giobbe in mezzo all’uragano: […]. Da quando vivi, hai mai comandato al mattino e assegnato il posto all’aurora, perché afferri la terra per i lembi e ne scuota via i malvagi, ed essa prenda forma come creta premuta da sigillo e si tinga come un vestito, e sia negata ai malvagi la loro luce e sia spezzato il braccio che si alza a colpire? Sei mai giunto alle sorgenti del mare e nel fondo dell’abisso hai tu passeggiato? Ti sono state svelate le porte della morte e hai visto le porte dell’ombra tenebrosa? Hai tu considerato quanto si estende la terra? Dillo, se sai tutto questo! Qual è la strada dove abita la luce e dove dimorano le tenebre, perché tu le possa ricondurre dentro i loro confini e sappia insegnare loro la via di casa? Certo, tu lo sai, perché allora eri già nato e il numero dei tuoi giorni è assai grande! […]. Giobbe prese a dire al Signore: “Ecco, non conto niente: che cosa ti posso rispondere? Mi metto la mano sulla bocca. Ho parlato una volta, ma non replicherò, due volte ho parlato, ma non continuerò” » (Gb 38,1.12-21; 40,3-5).
Il libro di Giobbe contiene un insegnamento fondamentale: la sofferenza non è solo una punizione, ma lo strumento per realizzare un progetto superiore. Il dialogo di Dio con Giobbe, di cui il brano riporta alcuni tratti fondamentali, ha proprio questo grande mistero come oggetto. Giobbe non capisce il perché della sua sofferenza. Non che non si ritenga colpevole, ma non percepisce alcuna proporzione tra le sue colpe e la sofferenza che lo colpisce. Dal cuore di Giobbe esce una domanda, terribile, vera, sempre attuale: perché devo soffrire così? Perché proprio io? Qui non troviamo la risposta, ma il fermo invito di Dio all’umiltà.
Dov’eri tu quando creavo il mondo? Per trovare la risposta bisogna andare in fondo. Ma proprio in fondo! Bisogna raggiungere i principio, il principio assoluto, l’inizio supremo di tutte le cose, è lì che c’è il fondamento di tutto, il principio… Solo lì si può incontrare la ragione. Non che non ci sia una ragione… La ragione c’è, ma è suprema, trascendente, nascosta agli occhi, alla mente e al cuore dell’uomo. Davanti a questa “risposta” di Dio, Giobbe capisce che deve tacere: « Mi metto la mano sulla bocca. Ho parlato una volta, ma non replicherò, due volte ho parlato, ma non continuerò ». Tacere e aspettare. La risposta non è una dottrina, ma una Persona. La Persona del Salvatore. Una Persona da accogliere, da amare e da seguire per ri-vivere la sua stessa vita