« Allora gli dissero: “Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo “. Rispose loro Gesù: “In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo”. Allora gli dissero: “Signore, dacci sempre questo pane”. Gesù rispose loro: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!” » (Gv 6,30-35).
Gesù viene sfidato a compiere di nuovo il miracolo della manna, come Mosè. Gli chiedono un segno di credibilità e, per questo, pongono le loro condizioni. Gesù dà certamente un segno che è in collegamento con la manna, ma che va ben oltre il segno della manna. Risponde, ma non alle loro condizioni. La manna aveva certamente un’origine celeste (è il « il pane dal cielo »), ma non era in grado di portare gli israeliti al loro destino celeste (« I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti » 6,49). Era infatti un cibo deperibile; andava raccolta ogni mattina (Es 16,21) e, se veniva conservato nella notte, imputridiva (Es 16,19-20). Gesù fa sì che il Padre, che era all’origine anche della manna, doni il pane “vero”, un pane che non deperisce e che comunica la vita eterna. Anche noi, come fecero gli ebrei quando videro per la prima volta quel cibo misterioso, potremmo chiedere: man hu, che cos’è questo? (Es 16,15). Gesù ci risponde: « Io sono il pane della vita ». Io sono il pane vero; non che la manna non fosse una realtà, ma era una realtà non definitiva, era solo un segno, una prefigurazione del “pane vero” che è Gesù stesso.
Dicendo di essere il pane della vita che cosa intende propriamente Gesù? È l’argomento di un lungo discorso, detto per questo, discorso del pane di vita (6,35-58). A proposito di esso ci sono due interpretazioni. L’espressione “pane della vita” è solo una metafora per indicare la fede in Gesù: attraverso di essa siamo nutriti. La fede non è solo un fatto intellettuale, ma è una questione di vita. Ma c’è anche un’altra interpretazione: Gesù intende qualcosa di estremamente realistico, dicendo che lui è pane. Questa interpretazione è orientata all’Eucaristia. Qual’è l’interpretazione giusta? Sono vere entrambe e corrispondono a due sezioni di questo discorso. Il pane mangiato come metafora della fede corrisponde alla prima sezione (6,35-47); che qui l’identificazione di Gesù con il pane sia intesa in senso metaforico non fa problema per gli ascoltatori, per i quali il solo problema è la sua pretesa di venire dal cielo. Ma nella seconda sezione (6,48-58) le cose si fanno ben più problematiche e il problema diventa come sia possibile “mangiare la carne” di Gesù (6,52). Qui al segno come prefigurazione subentra il segno come realtà: il sacramento. Qui abbiamo lo scandalo e l’allontanamento di una parte dei discepoli. L’Eucaristia rimane un paradosso e uno scandalo che mette in crisi e alla prova la vera fede. Non per nulla nella liturgia è chiamato semplicemente, ma radicalmente, il “mistero della fede”.