« [Gesù] venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore . Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”. Ma egli rispose loro: “Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!””. Poi aggiunse: “In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro”. All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino » (Lc 4,16-30); « Ti consiglio di comperare da me […] collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista » (Ap 3,18).
Il giorno 12 settembre 2006 papa Benedetto XVI tiene un discorso nell’Aula Magna dell’Università di Ratisbona. Il tema centrale è tutto racchiuso in una frase che il papa raccoglie dalla penna di un imperatore bizantino medioevale, Manuele II Paleologo: « non agire secondo ragione, “sýn lógô”, è contrario alla natura di Dio ». L’occasione per questa decisiva affermazione del Paleologo è costituita dal dialogo da lui tenuto ad Ankara con un dotto mussulmano: parlando delle tre “vie” di Mosè, Gesù e Maometto, davanti al tentativo del suo interlocutore di presentare l’Islam come il “giusto mezzo” tra le durezze dell’Antico Testamento e le “esagerazioni” del Cristianesimo (verginità, povertà, amore verso i nemici, ecc.), ribatte in un modo «sorprendentemente brusco che ci stupisce» «in modo così pesante» (sono espressioni del Papa): «Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava. […] Dio non si compiace del sangue, non agire secondo ragione, “sýn lógô”, è contrario alla natura di Dio». È evidente da tutto il contesto e dal modo stesso con cui introduce la frase che Benedetto XVI non intendeva assolutamente farla sua in tutta la sua portata, ma semplicemente quanto alle parole decisive: «non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio».
È interessante a questo proposito leggere tutta l’argomentazione dell’imperatore, riportata dal papa solo parzialmente: «la fede è frutto dell’anima e non del corpo. Chi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno di una lingua abile e di un pensiero corretto, non della violenza, né della minaccia e neppure di qualche strumento di offesa o di terrore. Perché, come quando si deve forzare una natura irrazionale non avrebbe senso ricorrere alla persuasione, così per persuadere un’anima razionale non ha senso ricorrere alla forza del braccio, né alla frusta, né ad alcun’altra minaccia di morte». Se il pontefice non è d’accordo con il giudizio drastico e indifferenziato su tutta quanta l’opera del fondatore dell’Islam («soltanto […] cose cattive e disumane»), che forse va al di là anche di quello che lo stesso Manuele intendeva veramente dire… tuttavia è d’accordo su un punto: la guerra è vista dall’Islam come uno strumento voluto da Dio per la sua espansione e questo pone seriamente il problema del rapporto violenza-religione e – soprattutto – del rapporto tra Dio e l’uso di ragione. Molti giornalisti di casa nostra – improvvisatisi islamologi – si sono permessi di insegnare al Papa che il termine jihad, tradotto correntemente con «guerra santa», il realtà vuol solo dire «sforzo spirituale», «guerra interiore», ed indica perciò qualcosa di assolutamente pacifico… Basterebbe però consultare anche soltanto un qualunque vocabolario di arabo, per non parlare della letteratura specialistica (ad es. la prestigiosa Encyclopaedia of Islam) per rendersi conto di quanto questo tentativo di trasformare i propri desideri in realtà sia patetico e dannoso ai fini di un dialogo autentico.
Uno studioso americano, David Cook (Understanding Jihad, University of California Press 2005), ha recentemente riesaminato a fondo il concetto e la sua storia, dimostrando che – nell’amplissima raccolta di fonti antiche e moderne da lui esaminate – jihad ha il senso di «guerra esteriore» nella stragrande maggioranza dei casi. L’obiettivo primario di Benedetto XVI non era però quello di mettere in guardia l’Occidente contro i pericoli del jihad islamico, ma di fargli prendere coscienza di un rischio ancora più grave, che viene dal suo stesso interno: quello di smarrire la stretta relazione che la ragione intrattiene con la sua storia e in particolare con la sua storia religiosa, che è storia cristiana. Oggi nel mondo cosiddetto laico (meglio sarebbe dire: laicista) la ragione, quando è applicata ai grandi problemi dell’uomo, quando si interroga sul senso della vita e dell’essere stesso, cioè quando diventa “metafisica”, è vista con decisa ostilità. La ragione trova ormai il suo ambito proprio e riconosciuto solo nel campo del “fattibile”, cioè nel dominio della tecnica. L’ambito del senso della vita e dell’essere e quello della morale è relegato nella sfera privata delle scelte soggettive dove un autentico confronto razionale che voglia pervenire a verità da tutti riconoscibili non ha più senso.
La ragione in Occidente sembra ridursi solo all’arte di costruire automobili sempre più potenti e Computer sempre più efficienti e non teme ormai di avventurarsi – senza nessuna remora etica – nel campo del controllo e manipolazione della vita umana. Un’abilità crescente nel costruire mezzi va di pari passo alla rinuncia pregiudiziale ad indagare sui fini, cioè sul “perché” e sul “come” usarli. A questa rinuncia spesso dà man forte il teologo che si compiace di sottolineare ad ogni pié sospinto quanto la fede si contrapponga al pensiero metafisico ed ontologico e vice-versa. Il pensiero occidentale, ammirato per le sue prestazioni tecniche, spaventa i popoli dell’Asia e dell’Africa – aveva detto il Papa a Monaco qualche giorno prima – perché «esclude totalmente Dio dalla visione dell’uomo» e non è certamente convincente al fine di ricondurre l’Islam ad un rinnovato matrimonio con la ragione. Il Papa traccia magistralmente le grandi linee del processo che ha condotto l’Occidente ad allontanarsi dalla ragione metafisica. Esso si produce attraverso un movimento di «deellenizzazione» del Cristianesimo che il pontefice scandisce in tre tappe: tre “onde”. Ma – ci dice con forza il Papa e questo è il cuore del suo messaggio – non è così: «non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio» e quindi anche contrario al Cristianesimo, la religione del Logos fatto carne. Perché oggi vi propongo una rilettura di questo famoso discorso di papa Benedetto? Perché non era un discorso “contro l’Islam”, come molti capirono allora e continuano a capire ancora oggi.
Il papa aveva in mente soprattutto noi… Che molti cristiani oggi contrappongano papa Benedetto e papa Francesco e invochino addirittura la violenza per risolvere il problema costituito dall’Islam è un chiaro esempio di non uso della ragione… La ragione esigerebbe di parlare di ciò che si conosce e chi parla così non ha letto questo discorso e conosce quello che insegna papa Francesco solo da quello che dicono i titoli di certi giornali. Dell’Islam non sanno praticamente nulla, ma quel che è peggio non sanno nulla nemmeno del Cristianesimo che dicono di professare. Gesù insegna il perdono e l’amore. San Paolo dice: « Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene » (Rm 12,21). Ma loro la pensano diversamente. O accettano in pieno una libertà vuota e senza nessun principio, in cui è lecito offendere i valori più sacri, in cui c’è spazio per tutti tranne per chi ha una qualche certezza su realtà peraltro evidenti come il valore della famiglia e il diritto dei bambini ad avere un papà e una mamma; oppure pensano che per risolvere il problema dei rapporti con una religione che ha un miliardo e seicento milioni di seguaci non ci dev’essere nessun dialogo (cioè niente uso di ragione) ma solo la guerra… che, naturalmente, nessuno di loro avrebbe il coraggio di combattere! Chi s-ragiona così non è più cristiano e sarebbe bene che la smettesse una buona volta di fingere di esserlo…
Di che cosa ha bisogno? Di collirio: « Ti consiglio di comperare da me […] collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista » (Ap 3,18)