« Quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, Gesù entrò in Cafàrnao. Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: “Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano -, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga”. Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: “Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa”. All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: “Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!”. E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito » (Lc 7,1-10).
Luca racconta l’episodio della guarigione del servo del centurione in modo più vivace e caratterizzato di quanto non faccia Matteo (8,5-13). La cosa non ci stupisce: Luca rilegge nella persona del centurione pagano, ma simpatizzante per il giudaismo, un tratto autobiografico. Come sempre è colpito dall’umiltà che sottolinea fortemente. Gli anziani che fanno da tramite tra lui e Gesù ne danno una descrizione molto elogiativa che contrasta invece con le parole del centurione.
Loro dicono che è “degno” di essere ascoltato da Gesù, mentre il centurione si dichiara indegno di rivolgersi al maestro: « Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito ». È abituato a comandare, ma anche ad interessarsi dei suoi subalterni, come dimostra la cura che ha per il suo servo. Le sue parole – nella versione che ci trasmette Matteo – sono utilizzate dalla Chiesa per esprimere l’atteggiamento che dobbiamo avere davanti al mistero della comunione eucaristica, che è come l’ingresso di Gesù nella nostra “casa”.