« Allora alcuni scribi e farisei gli dissero: “Maestro, da te vogliamo vedere un segno”. Ed egli rispose loro: “Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona il profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra. Nel giorno del giudizio, quelli di Ninive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona! Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro questa generazione e la condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone! » (Mt 12,38-42).
Che tipo di segno cercano gli scribi e i farisei? Un miracolo straordinario, una dimostrazione ineccepibile, che tolga ogni possibile dubbio. Vorrebbe insomma credere, senza però voler credere. Consentire senza dover amare. Questo tipo di inevitabile sottomissione al “segno” di Dio è quella fede che hanno anche i demòni e che non è, ovviamente, affatto invidiabile: « Tu credi che c’è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano! » (Gc 2,19). Questo “segno” un giorno sarà dato, quando il Signore verrà alla fine dei tempi, sarà una “parola” di un’evidenza tale che ad essa nessuno potrà resistere: « Allora l’empio sarà rivelato e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà con lo splendore della sua venuta » (2Ts 2,8). Il “soffio della bocca” del Verbo sarà la sua parola di Verità a cui nessuna menzogna, nessuna astuzia, nessun abile artificio di logica naturale sarà in grando di contrapporsi e di sfuggire: « Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava Fedele e Veritiero: egli giudica e combatte con giustizia. I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi; porta scritto un nome che nessuno conosce all’infuori di lui. È avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è: il Verbo di Dio. Gli eserciti del cielo lo seguono su cavalli bianchi, vestiti di lino bianco e puro. Dalla bocca gli esce una spada affilata, per colpire con essa le nazioni. Egli le governerà con scettro di ferro e pigerà nel tino il vino dell’ira furiosa di Dio, l’Onnipotente. Sul mantello e sul femore porta scritto un nome: Re dei re e Signore dei signori. Vidi poi un angelo, in piedi di fronte al sole, nell’alto del cielo, e gridava a gran voce a tutti gli uccelli che volano: “Venite, radunatevi al grande banchetto di Dio. Mangiate le carni dei re, le carni dei comandanti, le carni degli eroi, le carni dei cavalli e dei cavalieri e le carni di tutti gli uomini, liberi e schiavi, piccoli e grandi”. Vidi allora la bestia e i re della terra con i loro eserciti, radunati per muovere guerra contro colui che era seduto sul cavallo e contro il suo esercito. Ma la bestia fu catturata e con essa il falso profeta, che alla sua presenza aveva operato i prodigi con i quali aveva sedotto quanti avevano ricevuto il marchio della bestia e ne avevano adorato la statua. Ambedue furono gettati vivi nello stagno di fuoco, ardente di zolfo. Gli altri furono uccisi dalla spada che usciva dalla bocca del cavaliere; e tutti gli uccelli si saziarono delle loro carni » (Ap 19,11-21). Ma ora ai malvagi non viene dato il segno che loro chiedono, ma viene dato il « segno di Giona ». Qual’è questo segno di Giona? Il libro di Giona è un testo scritto molto probabilmente dopo l’esilio, in cui l’ignoto autore descrive la sua esperienza di dubbio e di travaglio interiore che sfocia nella felice soluzione che Dio infine gli rivela (qualcosa di molto simile al libro di Giobbe). A questo pio e saggio israelita riesce molto difficile pensare che le genti, i popoli di cui ha fatto terribile esperienza, in particolare a Babilonia, possano essere amati da Dio e addirittura da Lui salvati. “È mai possibile che ci sia salvezza anche per questi farabutti?”. Compone un libro rifacendosi ad un profeta vissuto qualche secolo prima (2Re 14,25) che è un racconto, non storico ma profetico. Dio manda Giona, assolutamente riluttante, a predicare a Ninive, annunciando la sua distruzione (tra quaranta giorni), Ninive però si converte e il castigo annunciato non avviene. Il profeta ci rimane assolutamente male e soffre di questo perdono, finché Dio non gli fa capire la grandezza della sua misericordia. Questo è il “segno di Giona” che Gesù compie con la sua vita, con la sua morte e resurrezione, che sono il suo Vangelo. In questo tempo intermedio tra le due venute del Signore siamo invitati ad accogliere con umiltà l’invito alla conversione che ci è proposto, come gli abitanti di Ninive. La conversione non ci è scaraventata addosso, richiede la nostra accoglienza, così come la Salvezza o la Condanna. Se chiudiamo il nostro cuore, non sarà lui a condannarci, ma la Parola di verità uscita dalla sua bocca. Perché Dio non dà un segno assolutamente evidente ed inequivocabile che garantisca ora, adesso, la sua rigorosa giustizia? Perché aspetta? Perché « Dio è Amore » (1Gv 4,8.16) e l’amore non si impone.