« Rallégrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re d’Israele è il Signore in mezzo a te, tu non temerai più alcuna sventura. In quel giorno si dirà a Gerusalemme: “Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia” » (Sof 3,14-18).
Il saluto dell’Angelo a Maria, che per noi italiani è diventato ormai il tradizionale “Ave Maria”, ha una densità di significati che può sorprendere, forse perfino sconvolgere, ma che – certamente – deve nutrire in profondità la nostra fede e la nostra preghiera. Quando diciamo “Ave Maria” non esprimiamo qualcosa di corrispondente ad un banale “buongiorno Maria”, ma ci troviamo nel punto di convergenza e di arrivo del profetismo di Israele, proprio là dove le Scritture si compiono e l’annuncio ancora vago, confuso e indeciso diventa realtà, assumendo contorni definiti e luminosi.
Questo è proprio uno di quei momenti in cui constatiamo come il Nuovo Testamento era nascosto nell’Antico e l’Antico diventa chiaro nel Nuovo (Sant’Agostino citato da Dei Verbum, 16). Il saluto abituale dell’ebreo era (ed è tutt’ora) Shalom, pace. Qui invece il saluto prende le forme di un fermo invito alla gioia. Il contesto lo ricollega con chiarezza a quattro passi profetici: Gioele 2,21-27; Sofonia 3,14-18; Zaccaria 2,14-15; 9,9-10.
È la gioia “messianica”. Dio, allontanato – scacciato – dal peccato, ha deciso, per la sua infinita misericordia, di non abbandonare l’uomo e di ritornare ad abitare il mondo. La gioia del ritorno è annunciata alla “figlia di Sion”, cioè a Gerusalemme, che inpersonifica il popolo di Israele. Il ritorno avviene in un modo a priori inimmaginabile. Dio non ritorna solo con la sua potenza, con la sua gloria, con l’efficacia della sua vittoria sui nemici.
Non si limita a suscitare uomini o un uomo che, a nome suo, compia la sua opera, ma « Re d’Israele è il Signore in mezzo a te » (Sof 3,15); « Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente » (v. 17); « [Dio] in mezzo a voi ha fatto meraviglie » (Gl 2,26); « ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te » (Zaccaria 2,14). In due di questi passi (quelli di Sofonia) l’espressione “in mezzo a te” è resa con un termine ebraico (beqirbêch) che – tradotto letteralmente – direbbe: “nelle tue viscere”, “nel tuo utero”.
Qui però il “modo di dire” ebraico si fa meravigliosamente letterale! È proprio “nel ventre” di Maria – la “nuova” Figlia di Sion, di cui l’antica era il “tipo” – che il Re di Israele, il forte guerriero salvatore degli umili e dei deboli, viene… È lì e da lì che inaugura il suo Regno di verità e di pace. È lì che – in modo ormai irreversibile – germoglia una vita su cui la morte non avrà più potere.
È lì che la forte ed indistruttibile vite (« Io sono la vera vite » Gv 15,1) torna a germogliare per avvolgere dei suoi tralci il mondo e ridargli fecondità nel bene. È lì che torna a brilla la luce contro cui le tenebre non potranno trionfare. Questa luce è apparsa ancora prima di apparire, nella purezza immacolata di Maria e in lei traspare ormai in modo irresistibile.
In modo progressivamente evidente, come in un crescendo di luce e bellezza, per cui « tutte le generazioni mi chiameranno beata » (Lc 1,48). Profondamente uniti a Maria e aiutati da lei, accogliamolo anche noi nel nostro cuore: è questa la vera felicità che tutti noi cerchiamo!