Il Papa definisce deliranti le strategie “anti-age” di una mentalità che teme la morte perché non dà alcun significato alla vita. Essa è un apprendistato verso il compimento della nostra esistenza in Paradiso
di Michele Brambilla
Papa Francesco il 10 agosto riprende il ciclo delle udienze sulla vecchiaia, spiegando che «oggi entriamo nell’intimità commovente del congedo di Gesù dai suoi, ampiamente riportato nel Vangelo di Giovanni. Il discorso di commiato inizia con parole di consolazione e di promessa: “Non sia turbato il vostro cuore” (14,1); “Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi” (14,3). Belle parole, queste, del Signore», che aprono uno squarcio sul nostro destino ultraterreno. La vecchiaia è notoriamente vicina alla morte: dopo la risurrezione di Cristo, essa è un passaggio verso il compimento della nostra persona, destinata a contemplare Dio faccia a faccia nella gloria del Paradiso.
«La vecchiaia è il tempo propizio per la testimonianza commossa e lieta di questa attesa. L’anziano e l’anziana sono», infatti, «in attesa, in attesa di un incontro. Nella vecchiaia le opere della fede, che avvicinano noi e gli altri al regno di Dio, stanno ormai oltre la potenza delle energie, delle parole, degli slanci della giovinezza e della maturità. Ma proprio così rendono ancora più trasparente la promessa della vera destinazione della vita. E qual è la vera destinazione della vita? Un posto a tavola con Dio, nel mondo di Dio».
Il Papa sprona le diocesi a rivitalizzare la catechesi su questo specifico tema. Ammonisce: «una vecchiaia che si consuma nell’avvilimento delle occasioni mancate, porta avvilimento per sé e per tutti. Invece, la vecchiaia vissuta con dolcezza, vissuta con rispetto per la vita reale scioglie definitivamente l’equivoco di una potenza che deve bastare a sé stessa e alla propria riuscita. Scioglie persino l’equivoco di una Chiesa che si adatta alla condizione mondana, pensando in questo modo di governarne definitivamente la perfezione e il compimento», che appartengono al Signore e non possono essere propiziati da compromessi dottrinali inficiati dall’assolutizzazione del presente cronologico. Bisogna, allora, ribadire che «qui, sulla terra, si avvia il processo del nostro “noviziato”: siamo apprendisti della vita» e il nostro apprendistato terminerà solo quando avremo oltrepassato la temuta soglia della morte. Il Santo Padre denuncia che «la sicumera di fermare il tempo – volere l’eterna giovinezza, il benessere illimitato, il potere assoluto – non è solo impossibile, è delirante». Colpisce così al cuore uno dei capisaldi della cultura contemporanea, a cui risponde che «nel compimento della promessa di Dio, il rapporto si inverte: lo spazio di Dio, che Gesù prepara per noi con ogni cura, è superiore al tempo della nostra vita mortale. Ecco: la vecchiaia avvicina la speranza di questo compimento. La vecchiaia conosce definitivamente, ormai, il senso del tempo e le limitazioni del luogo in cui viviamo la nostra iniziazione» e sa di essere giunta all’incontro decisivo con il Signore. Allora, «cari fratelli e sorelle, la vecchiaia, vissuta nell’attesa del Signore, può diventare la compiuta “apologia” della fede, che rende ragione, a tutti, della nostra speranza per tutti (cfr 1 Pt 3,15)». Laddove l’uomo contemporaneo vede solo cascami, la serenità dell’anziano cattolico esprime la certezza della Risurrezione: «la vecchiaia è la fase della vita più adatta a diffondere la lieta notizia che la vita è iniziazione per un compimento definitivo. I vecchi sono una promessa, una testimonianza di promessa» perché «il meglio deve ancora venire».
Giovedì, 11 agosto 2022