Come stanno davvero le cose nell’Incoronazione di Napoleone di Jaques Louis David
di Michele Brambilla
Nel 2021 ricorrono anche i 200 anni dalla morte di Napoleone Bonaparte (1769-1821), il cui impero ha giocato un ruolo determinante nel disseminare in tutta Europa i “valori” della Rivoluzione francese. Trovò immediatamente un codazzo di artisti e scrittori “impegnati”, che esaltarono le sue imprese e contribuirono ad allontanare il mondo delle lettere dall’ethos dell’antica Christianitas. Tra questi artisti spicca certamente il pittore Jaques Louis David (1748-1825): pittore rivoluzionario per eccellenza, avendo perduto le sue radici cristiane, David divenne la classica banderuola, spostandosi a seconda della convenienza politica, fino ad appoggiare l’autoritarismo di Bonaparte. Tutte le sue opere hanno un sottofondo ideologico, ma quella più rappresentativa è certamente l’Incoronazione di Napoleone.
La grande tela, commissionata dallo stesso imperatore, ha senza dubbio una funzione encomiastica non solo della persona di Napoleone, ma anche dei “valori” illuministi che egli incarnava. Bonaparte è il perno della composizione: si è appena auto-incoronato, volendo incarnare la “volontà generale” di Jean-Jaques Rousseau (1712-78), è l’uomo ab-solutus che non ha bisogno di Dio (infatti il tabernacolo è sommerso dagli altri personaggi ed è quasi un intralcio per i curiosi che lo usano come parapetto), avanza nel presbiterio verso la moglie Josephine de Beauharnais (1763-1814) per incoronarla a sua volta. David fu autorizzato a stendere lo schizzo preparatorio durante la stessa cerimonia, avvenuta nella cattedrale di Notre Dame a Parigi, e, in effetti, l’opera sembra quasi una fotografia, data la precisione con la quale ricostruisce la scena e ne trasmette l’atmosfera a distanza di secoli (la tela è perfetta per studiare, ad esempio, l’assetto barocco del presbiterio di Notre Dame, così come progettato nella seconda metà del Seicento).
La gigantografia voleva rappresentare il trionfo della Rivoluzione sulla Chiesa e su Dio stesso: come si è detto, si è in uno spazio chiesastico, ma il tabernacolo è assolutamente periferico. Al centro della scena c’è solo Napoleone, l’uomo artefice di se stesso, “tabernacolo” vivente nel quale si riassume tutto il percorso iniziato nel 1789. Pio VII (1800-23), deportato a Parigi, costretto ad assistere ad una pomposa auto-incoronazione, in cui la liturgia era ridotta a semplice corollario scenografico, quasi sommerso dal gran numero di chierici e inservienti presenti, doveva essere, nell’ottica del pittore, l’immagine della Chiesa costretta ad arrendersi al “nuovo” che avanza.
David non si accorge, mentre dipinge il volto di Papa Chiaramonti, di quanto lo sguardo del Pontefice sia magnetico e si presti a essere interpretato in una prospettiva, che certamente esulava dalle intenzioni del pittore, suscettibile di trasformare completamente il senso dell’opera. Il Papa è presente contro la sua volontà, ma alza la mano benedicente rimanendo sul faldistorio, appoggiato alla mensa dell’altare e sovrastato dal Crocifisso, sua vera forza. Gli occhi sembrano dire tutta la pena del momento, l’indignazione per l’arroganza con la quale si stavano calpestando i sentimenti più sacri, ma contemporaneamente danno l’impressione di esprimere anche un amore profondo, autenticamente cattolico, verso le persone che ha di fronte: rivestito dei paramenti bianchi, che sono non a caso anche quelli del giorno di Pasqua, risponde al male con il bene, accontentandosi del bene concreto che la situazione permette di attuare. Chi si auto-incorona è un despota, ma, sembra meditare il Pontefice, lo ha voluto fare al cospetto di Dio, chiedendo la benedizione della Chiesa e ascoltando la Sua parola: che Napoleone ne sia consapevole o no, è un principio di conversione, che per lui maturerà durante l’esilio a S. Elena.
Non solo: il cerimoniale adottato il 2 dicembre 1804 è, salvo pochi “adattamenti”, quello codificato nel Pontificale Romanum: i paggi, i generali di Napoleone, i “nuovi” nobili sono costretti a rivestirsi delle stesse insegne indossate dai loro predecessori nel 1775 all’incoronazione di Luigi XVI (1774-93), l’ultima svoltasi secondo l’ottica tradizionale, sorreggono il crisma e le medesime regalie degli antichi monarchi. Anche questa è una domanda latente di sacralità, diciamo pure di Cristianità, sfuggita dal pennello del giacobino David.
Insomma, il vero vincitore non è quello che il pittore immaginava e la tela dice più di quanto originariamente programmato. Il trionfo di Napoleone mostra già tutti i suoi limiti: è una costruzione meramente umana, che non ha fatto adeguatamente i conti con un “bruscolino” chiamato Resurrezione. La croce, per i credenti, è la premessa della gloria. 10 anni dopo quell’incoronazione il Bonaparte verrà esiliato dal congresso di Vienna, mentre Pio VII, il 24 maggio 1814, rientrerà nella sua Roma, acclamato e portato a spalla fino a S. Pietro. Ancora una volta «l’arco dei forti s’è spezzato,
ma i deboli si sono rivestiti di vigore» (1Sam 2,4).
Sabato, 8 maggio 2021