di Marco Invernizzi
La Lettera apostolica di papa Francesco Admirabile signum, datata 1° dicembre, è una breve meditazione sul significato e sul valore del presepe che il Santo Padre offre a tutti i fedeli nell’approssimarsi della grande festa della nascita di Gesù, ormai imminente.
C’è da sperare che tutti quelli che la leggeranno o che l’hanno letta escano per qualche minuto dalle polemiche senza le quali sembra che la vita si fermi. «Qui non c’è bisogno di moltiplicare le parole», scrive il Pontefice, «perché la scena che è posta sotto i nostri occhi esprime la saggezza di cui abbiamo bisogno per cogliere l’essenziale». Il Papa invita cioè a un gesto che chi ha avuto occasione di vivere gli Esercizi spirituali secondo il metodo di sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) ‒ da sempre parte integrante della spiritualità di Alleanza Cattolica ‒ ricorda certamente: la composizione di luogo per potere contemplare meglio, in questo caso per “gustare”, guardandolo da vicino, dentro la mangiatoia nella quale è stato adagiato, il Bambino che è nato per la salvezza di ciascuno di noi e del mondo intero. Questo è l’essenziale, l’unica cosa in fondo di cui abbiamo bisogno veramente.
Per entrare in questa dimensione, che procura la saggezza di cui scrive Francesco, si ha bisogno del «silenzio per contemplare la bellezza del volto di Gesù bambino» e della «preghiera, per esprimere il “grazie” stupito dinanzi a questo immenso dono d’amore che ci viene fatto».
Questa bella tradizione va continuata e il presepe va allestito ovunque sia possibile, oltre che nelle famiglie, «nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze…». «È così che nasce la nostra tradizione: tutti attorno alla grotta e ricolmi di gioia, senza più alcuna distanza tra l’evento che si compie e quanti diventano partecipi del mistero».
«Non abbiate paura», sembra ripetere il Papa usando le parole inaugurali del pontificato di san Giovanni Paolo II (1920-2005), manifestate la vostra identità anche attraverso l’esposizione di un presepio, che può offendere soltanto qualche mente ammalata di ideologie che sanno soltanto odiare.
A Greccio, nella provincia di Rieti, dove nel 1223 san Francesco d’Assisi (1182-1226) inventò il presepe tornando da Roma, dove aveva ricevuto la conferma della sua Regola direttamente dal Pontefice, Onorio III (1150-1227), Papa Francesco ricostruisce l’origine storica del presepe, spiegandone i particolari. In questo modo «San Francesco, con la semplicità di quel segno, realizzò una grande opera di evangelizzazione. Il suo insegnamento è penetrato nel cuore dei cristiani e permane fino ai nostri giorni come una genuina forma per riproporre la bellezza della nostra fede con semplicità».
Non si tratta soltanto di “guardare” per amare, ma anche di riflettere sulle principali domande dell’uomo, quelle fondamentali: «chi sono io? Da dove vengo? Perché sono nato in questo tempo? Perché amo? Perché soffro? Perché morirò? Per dare una risposta a questi interrogativi Dio si è fatto uomo. La sua vicinanza porta luce dove c’è il buio e rischiara quanti attraversano le tenebre della sofferenza (cfr Lc 1,79)».
Non soltanto, ma il presepe ricorda come tutta la creazione, non solo le creature, sia chiamata a rendere gloria al Creatore nella Persona del Figlio, che si fa uomo per redimere l’umanità dopo il peccato originale: «le montagne, i ruscelli, le pecore e i pastori! In questo modo ricordiamo, come avevano preannunciato i profeti, che tutto il creato partecipa alla festa della venuta del Messia».
«A differenza di tanta gente intenta a fare mille altre cose, i pastori diventano i primi testimoni dell’essenziale, cioè della salvezza che viene donata. Sono i più umili e i più poveri che sanno accogliere l’avvenimento dell’Incarnazione». Sono appunto i poveri coloro che capiscono prima e meglio ciò che sta accadendo, i pastori che hanno il cuore libero dalle incrostazioni umane e che quindi è in grado di cogliere subito la portata di ciò che sta accadendo: «I poveri e i semplici nel presepe ricordano che Dio si fa uomo per quelli che più sentono il bisogno del suo amore e chiedono la sua vicinanza».
Nel presepe un ruolo essenziale è svolto da Maria e «la sua statuetta fa pensare al grande mistero che ha coinvolto questa ragazza quando Dio ha bussato alla porta del suo cuore immacolato. All’annuncio dell’angelo che le chiedeva di diventare la madre di Dio, Maria rispose con obbedienza piena e totale», così come essenziale e obbediente quanto la sua Sposa è san Giuseppe, «il custode che non si stanca mai di proteggere la sua famiglia» e che non può evidentemente mai mancare in un presepe che si rispetti.
Dalla contemplazione del presepe nasce la missione, come è normale che sia: «Guardando questa scena nel presepe siamo chiamati a riflettere sulla responsabilità che ogni cristiano ha di essere evangelizzatore. Ognuno di noi si fa portatore della Bella Notizia presso quanti incontra, testimoniando la gioia di aver incontrato Gesù e il suo amore con concrete azioni di misericordia»
… e quindi «il presepe fa parte del dolce ed esigente processo di trasmissione della fede».
Grazie, Santo Padre, per questa lettera: una meditazione nella quale la grande stampa nazionale ha voluto cogliere una inesistente dimensione “antisovranista”. Lasciate stare, non rovinatevi il Natale.
Lunedì, 2 dicembre 2019