Mons. Antonio de Castro Mayer, Cristianità, 7 (1974)
Traduzione della Circular sóbre a revérencia aos santos sacramentos, in Por un cristianismo autêntico, Editôra Vera Cruz, San Paolo 1971, pp. 375-382.
CIRCOLARE DI S. E. REV.MA MONS. ANTONIO DE CASTRO MAYER
VESCOVO DIOCESANO DI CAMPOS (BRASILE)
Carissimi sacerdoti,
una delle molte lamentele del Santo Padre, provocate dall’esplosione del liberalismo sensuale moderno, riguarda quanto vi è di più fondamentale nella dottrina cattolica. Il Papa dice che oggi si mette in dubbio tutto, anche le verità più sacre.
L’angustia di Paolo VI deve essere per noi un ammonimento, nel senso della necessità di raddoppiare il nostro zelo, affinché non venga a mancare la fede nelle pecorelle che ci sono affidate.
A questo fine bisogna notare che lo scetticismo di cui parla il Papa, non si manifesta soltanto nell’ordine delle idee. Vi sono molti dubbi e molte negazioni che si esprimono nella pratica, nel tenore di vita, nel modo d’agire. Questo vuol dire che dobbiamo stare attenti, per non lasciarci trascinare da certi cosiddetti adattamenti della Chiesa all’uomo di oggi, che in realtà attenuano il fervore dei fedeli, e lentamente li allontanano da quella fede viva che è indispensabile alla salvezza: “Sine fide impossibile est piacere Deo” (1).
L’INGINOCCHIARSI, SEGNO DI FEDE NELL’EUCARESTIA
Fatta questa osservazione di carattere generale, oggi vogliamo soltanto e brevemente mettere in evidenza quanto si addice alla santa Comunione. Sarà sufficiente a illustrare che cosa può essere un falso “aggiornamento“.
Sappiamo, carissimi sacerdoti, che nel santissimo Sacramento dell’Altare è realmente, veramente e sostanzialmente presente Gesù Cristo stesso, Dio e Uomo, nostro adorabile Salvatore, in Corpo, Sangue, Anima e Divinità. Questa nostra professione di fede si fa con l’intelligenza e con le labbra; ma, in modo più vivo e abituale, con il nostro comportamento davanti al santissimo Sacramento, specialmente al momento della Comunione.
Nella Chiesa latina, la fede viva nella Presenza Reale si manifesta esternamente attraverso la genuflessione e la positura genuflessa, quando si passa davanti o quando si è in presenza della santa Ostia consacrata, o solennemente esposta, o conservata nel tabernacolo. Tale atteggiamento si basa sulla sacra Scrittura. Infatti in essa leggiamo che questo atteggiamento è, nel fedele, il segno dell’adorazione. Così sono lodate le migliaia di ebrei che “non hanno piegato il ginocchio a Baal” (2); e, riguardo al Dio vero, il Signore dice in Isaia che “davanti a me si curverà ogni ginocchio” (3). Riferendosi più direttamente a Gesù Cristo, l’Apostolo dichiara che al suo nome si piega “ogni ginocchio […] in cielo e in terra e sotterra” (4). D’altra parte, in questo modo esternavano la loro fede nel Salvatore quelli che gli chiedevano qualche grazia (9). Nella santa Chiesa, il costume di piegare il ginocchio davanti al santissimo Sacramento, oltre alla adorazione dovuta a un così eccelso Signore, intende anche manifestare riparazione per le ingiurie di cui la soldataglia senza freni coprì il misericordioso Salvatore, dopo la flagellazione e l’incoronazione di spine: “in ginocchio davanti a lui, lo schernivano” (6).
Si fissa così in una tradizione apostolica l’abitudine a manifestare, mediante la genuflessione e la positura in ginocchio, la nostra fede viva nella divinità di Gesù Cristo, sostanzialmente presente sull’altare. Ecco perché il fedele riceve in ginocchio la santa Comunione. Non lo fa il sacerdote durante la messa, perché lì sta rappresentando la persona di Gesù Cristo. “Agit in persona Christi“, fa le veci di Cristo come sacrificatore, funzione che in nessun modo compete al fedele. Fuori della messa, anche il sacerdote si comunica in ginocchio.
NON VI È RAGIONE PER ABBANDONARE UN USO TANTO ECCELLENTE
Non solo perché è un costume immemoriale, con fondamento nella sacra Scrittura, ma anche per la natura stessa dell’atto, la genuflessione ci riempie di umiltà, ci porta a riconoscere la nostra piccolezza di creature davanti alla ineffabile trascendenza di Dio, e inoltre la nostra condizione di peccatori che possono giungere a dominare l’orgoglio e le altre passioni soltanto attraverso la mortificazione e la grazia, e a vivere come veri figli adottivi di Dio, redenti dal Sangue preziosissimo di Gesù Cristo.
Perciò, la sostituzione di una simile pratica di pietà con un’altra, può essere giustificata soltanto nel caso in cui si dia un’eccellenza maggiore così grande da compensare anche il male che vi è in ogni mutamento, come insegna san Tommaso d’Aquino riguardo alle abitudini che danno vita alle leggi (7). Fedele a questa dottrina dell’Aquinate, il Concilio Vaticano II stabilisce che non si devono introdurre modifiche nella liturgia, se non quando siano veramente necessarie, e anche in questo caso comanda che le nuove formule derivino organicamente da quelle già esistenti (8).
Ora, il nuovo modo di accostarsi alla Comunione non presenta quei caratteri d’eccellenza che la sua introduzione richiederebbe. Infatti il comunicarsi in piedi non produce a suo favore testi della sacra Scrittura, non ha i vantaggi spirituali che la positura in ginocchio porta con sé, come sopra abbiamo osservato, e ha gli inconvenienti di ogni mutamento, che rilassa i fedeli invece di infervorarli.
Per questa ragione, si deve conservare l’abitudine di comunicarsi in ginocchio. E nella diocesi il comunicarsi in ginocchio è sempre stato e continua a essere disposizione diocesana, che tutti devono seguire. Tanto più che la Sacra Congregazione per il Culto Divino, interrogata se, con il nuovo Ordo, diventava obbligatoria la Comunione in piedi, ha risposto che, dove è costume comunicarsi in ginocchio, è conveniente che questo costume sia conservato “senza alcun dubbio” (9).
LA COMUNIONE IN MANO NON SI AMMETTA IN NESSUN CASO
Raccomandiamo perciò a tutti i carissimi sacerdoti che esercitano il loro ministero nella nostra diocesi di attenersi a questa disposizione diocesana: distribuiscano la santa Comunione soltanto ai fedeli inginocchiati, ammettendo solamente eccezioni in casi particolari, quando qualche infermità rende impossibile, o quasi, l’inginocchiarsi. In nessun caso si permette la Comunione in mano.
CONFESSIONE INDIVIDUALE E AURICOLARE
In seguito a certi abusi che si vanno generalizzando, ricordiamo, sullo stesso argomento della massima venerazione dovuta alla santissima Eucarestia, la disposizione del Concilio di Trento, che esige, perché si possa ricevere lecitamente la santa Comunione, lo stato di grazia ottenuto attraverso la confessione sacramentale (10). Questa confessione sacramentale deve essere individuale e auricolare, e in essa si devono accusare tutti i peccati gravi commessi dopo il Battesimo, o dopo l’ultima confessione ben fatta. Lo stesso Concilio di Trento dichiara anche che è di diritto divino l’obbligo di confessare tutti i peccati gravi, indicando il numero e la specie di ciascuno di essi, dopo diligente esame di coscienza (11). Perciò, nessuno può dispensare i fedeli da un tale obbligo. Nei casi assolutamente eccezionali, come l’epidemia, la guerra o simili, in cui si permette l’assoluzione data in comune, senza ascoltare precedentemente l’accusa di tutti i peccati, anche in questi casi permane l’obbligo di sottomettere alle Chiavi tutti e ciascuno dei peccati gravi commessi. Di modo che, quanti hanno avuto la ventura di superare la crisi epidemica o bellica, sono obbligati sub gravi ad accusare in confessione sacramentale anche i peccati di cui hanno già avuto assoluzione generale, in seguito alle circostanze speciali in cui si trovavano. A tali casi non si può assimilare il grande afflusso di penitenti nei giorni festivi, o in occasione di qualche solennità. Non vi è moralista di buona dottrina che ammetta il valore dell’assoluzione in questi ultimi casi, e il Papa beato Innocenzo XI ha condannato quanti sostenevano una opinione contraria, disposizione rinnovata da Pio XII.
LE DONNE DEVONO COMUNICARSI A CAPO COPERTO
Anche a proposito del modo di ricevere la santa Comunione, si mantenga il costume tradizionale che comanda alle donne e alle ragazze di presentarsi con il capo coperto. Altra abitudine immemoriale fondata sulla sacra Scrittura (12), che non deve essere modificata. San Paolo ricorda la venerazione e il rispetto dovuti agli angeli presenti in chiesa, che le donne manifestano con l’uso del velo. Niente di più bello, di più ordinato, di più affascinante della donna cristiana che riconosce la gerarchia stabilita da Dio, e manifesta esternamente la sua adesione amorosa a tale disposizione della Provvidenza.
L’IMMODESTIA NEL VESTIRE E LA NOSTRA RESPONSABILITÀ
Nello stesso ordine di idee, ricordiamo ai nostri carissimi sacerdoti che devono impegnarsi a fondo per conservare nei fedeli l’amore alla modestia e al pudore, che li rendono meno indegni di ricevere i santi sacramenti.
Non dobbiamo dimenticarci che, se la società si paganizza, se rifugge dalla mentalità cristiana, come è definita nelle massime evangeliche, non lo fa senza la connivenza e la collaborazione delle famiglie cattoliche, e perciò, in larga misura, per nostra colpa, nostra, di noi sacerdoti. O per egoismo, che crea in noi avversione all’esercizio della nostra funzione di orientatori del popolo fedele, o forse – proh dolor! – per condiscendenza verso la sensualità regnante, siamo negligenti nel proclamare, apertamente, che le mode di oggi discordano in modo grave dalla virtù cristiana, e siamo ancora più negligenti nell’usare la fermezza apostolica, anche se soavemente esercitata, per allontanare dai sacramenti l’atmosfera sensuale attualmente introdotta nella società dagli abiti femminili.
Abbiamo appreso con tristezza che sacerdoti della diocesi, e altre persone con responsabilità di orientamento spirituale, non prendono il benché minimo provvedimento per mantenere attorno ai sacramenti, specialmente alla santissima Eucarestia, l’atmosfera di purezza che Gesù Cristo esige dai suoi fedeli servitori. Perché tutte le chiese della diocesi non mettono in mostra, in un luogo ben visibile, le disposizioni ecclesiastiche relative al fatto che le donne e le ragazze non si devono presentare nel tempio di Dio con abiti aderenti, scollati, con sottane che non scendano sotto il ginocchio, o con pantaloni lunghi, questi ultimi più specifici dell’altro sesso? E perché tutti i sacerdoti non prendono misure affinché le donne e le ragazze non si presentino a ricevere i sacramenti con simili abiti, né a fare le madrine o le testimoni? Sarebbe il minimo che si potrebbe chiedere a chi è realmente interessato affinché l’adattamento di cui tanto si parla, non sia una profanazione del sacro, con danno personale per il popolo fedele e per la società in generale.
Carissimi sacerdoti, lo zelo per la casa di Dio e la carità verso il prossimo richiedono, nei tempi attuali, una gravissima attenzione al modo di vestire dei fedeli che li sono e vogliono vivere cristianamente. La sacra Scrittura ricorda che “i vestimenti del corpo, il riso dei denti e il modo di camminare di un uomo lo fanno conoscere” (13). E Pio XII nota: “La società, per così dire, parla col vestito che indossa; col vestito rivela le segrete sue aspirazioni, e di esso si serve, almeno in parte, per edificare o distruggere il proprio avvenire” (14). Nessuno negherà il valore oggettivo di questa osservazione di Papa Pacelli.
UNA MISURA SEMPLICE ED EFFICACE
Una delle occasioni in cui più specialmente dobbiamo applicare la parola della Scrittura e l’indicazione pontificia è quella costituita dai matrimoni. Tutte le parrocchie dovrebbero avere un foglio, breve e semplice, in cui si ricordassero la natura, la santità e le qualità del matrimonio cristiano, le disposizioni per riceverlo fruttuosamente e degnamente, e inoltre gli avvertimenti relativi agli abiti con cui si devono presentare in chiesa i nubendi, i testimoni e gli invitati. Questo stampato dovrebbe essere consegnato agli interessati nel momento in cui si informano sulle modalità del matrimonio in chiesa.
“AGGIORNAMENTO” CHE PORTA ALLA PERDIZIONE ETERNA
Di fatto, carissimi sacerdoti, è necessario non perdere di vista la finalità cui mira il Concilio, secondo una dichiarazione formale del Pontefice, come abbiamo avuto modo di mettere in rilievo nella nostra lettera pastorale del 19 marzo 1966, commentando il motu proprio di Paolo VI, che concedeva il giubileo postconciliare. Il Concilio desidera che la Chiesa rinnovi il suo volto, attraverso la maggiore santificazione dei suoi membri. In questo senso si deve intendere l’”aggiornamento” di cui parlava Giovanni XXIII. Mediante la santificazione dei suoi figli la Chiesa attira al soave giogo di Gesù Cristo quanti si trovano fuori dal suo grembo. Così dichiara il Papa, così attesta la storia della Chiesa, così testimonia la sacra Scrittura.
“Cum exaltatus fuero, omnia traham ad meipsum – quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti gli uomini a Me“. E l’Evangelista spiega che Gesù parlava della sua morte (15). L’”aggiornamento” è opera di penitenza, di mortificazione, di rinuncia a imitazione del divino Salvatore che, attraverso la ignominia e la rinuncia della Croce, attraverso le umiliazioni e la solitudine del Calvario, ha attirato a sé tutto il mondo: “Cum exaltatus fuero, omnia traham ad meipsum“.
Ora, carissimi sacerdoti, innumerevoli mutamenti, che si presentano come altrettante tappe dell’”aggiornamento“, tendono soltanto a favorire gli egoismi della natura umana decaduta, e a diminuire il fervore della carità verso Dio. In nome della dignità umana, riducono lo spazio dovuto a Dio nella vita dell’uomo, la cui autonomia è adulata in tutti i modi. Tale “aggiornamento” non si inserisce nella salutare Tradizione cattolica. In essa il posto della mortificazione, della rinuncia, è più quello di una concessione cui, dolorosamente, non si può sfuggire, che quella di una esigenza positiva, come insegna il dogma del peccato originale, punto basilare dell’economia della Redenzione, alla quale deve amorosamente aderire e conformarsi la vita cristiana, che porrà la sua felicità nell’austerità e nella penitenza, con cui l’uomo si prepara alla visione beatifica nel seno di Dio.
Con l’”aggiornamento” di cui parliamo, inoltre, si perde di vista la beatitudine futura, per interessarsi della prosperità, della comodità, della felicità qui sulla terra, come se l’uomo avesse qui la sua dimora permanente.
Non è necessario dimostrare come un simile “aggiornamento” costituisce uno scandalo, nel senso proprio della parola, e quindi contribuisce a perdere le anime.
SIAMO CAUTI CON CERTE CONCESSIONI
Carissimi sacerdoti, queste nostre considerazioni hanno, come facilmente potete verificare, il valore perenne che conferisce loro la Tradizione cattolica, da cui procedono. Valgono di per sé. Contro di esse, quindi, non si può addurre l’esempio di quanto può essere fatto altrove. Infatti non conosciamo le ragioni che determinano le concessioni particolari di altre regioni, sempre nell’ipotesi che non si tratti di abusi, ma di concessioni. Sappiamo inoltre, per ammissione dello stesso cardinale Gut, prefetto della Sacra Congregazione per il Culto Divino, che, più di una volta, il Papa ha permesso, contro voglia, certe pratiche che egli stesso, il Papa, considera abusive (16). Ciò vuol dire che dobbiamo essere cauti, anche quando si tratta di concessioni fatte dalla Santa Sede. Infine, quello che possiamo dire è che qui non ci sono motivi che forse giustificano usi introdotti in altri luoghi. Quanto forse in altri luoghi può non essere censurabile, qui è certamente coefficiente di desacralizzazione.
APPELLO DI UN PADRE ANGUSTIATO
Carissimi sacerdoti, confidiamo che accoglierete, tutti e ciascuno di voi, queste nostre parole come un richiamo di Padre spirituale, angustiato dall’ambiente che, nella società, si fa sempre meno sacro, sempre più sensuale e pagano. Angustiato, e soprannaturalmente interessato alla vostra santificazione, da cui deriverà un beneficio per i fedeli e il popolo, in mezzo al quale vivete ed esercitate il vostro ministero.
Siccome le considerazioni che qui facciamo toccano anche i fedeli, desideriamo che questa lettera sia letta al popolo durante la messa domenicale.
Ci raccomandiamo alle vostre preghiere, e a tutti e a ciascuno di voi inviamo un’affettuosa benedizione, da estendere al popolo affidato alla vostra custodia. Nel nome del Padre † e del Figlio † e dello Spirito † Santo. Amen.
Campos, 21 novembre 1970: festa della Presentazione della Vergine al Tempio.
Servo in Gesù Cristo
† ANTONIO, vescovo di Campos
NOTE
(1) “È impossibile senza la fede piacere a Dio“ (Ebr. 11, 6).
(2) Rom. 11, 4.
(3) Is. 45, 23; cfr. Rom. 14, 11.
(4) Fil. 2, 10.
(5) Cfr. Mt. 11, 14; Mc. 1, 40.
(6) Mt. 27, 29.
(7) Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa teologiae, I. II., q. 97, a. 2.
(8) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione Sacrosanctum Concilium, n. 23.
(9) Trascriviamo la domanda alla Sacra Congregazione per il Culto Divino e la risposta di quel dicastero. “Buenos Aires, 2 marzo 1970 / Reverendissimo monsignore, mi permetto di disturbarla per chiederle una risposta a una domanda che mi è stata rivolta: con il nuovo ordinario della messa è diventata obbligatoria la comunione in piedi, oppure, dove vige la distribuzione della comunione ai fedeli inginocchiati, può essere conservata? / Ringraziandola fin da ora per la sua gradita risposta, suo devotissimo / nel Signore / (f.to) sac. Carlos Galan, segretario della commissione episcopale per la liturgia / timbro della commissione / Reverendissimo monsignor Annibale Bugnini, C. M. / segretario della Congregazione per il Culto Divino / Città. del Vaticano”. Risposta: “Sacra Congregazione per il Culto Divino / Prot. N. 1363/70. / Città del Vaticano, 9 marzo 1970 / Reverendo, / ho ricevuto la sua lettera del 2 marzo, con la quale desidera sapere se dopo la promulgazione del nuovo Ordo Missae si può conservare l’uso, dove esista, di ricevere la santa Comunione in ginocchio: / senza alcun dubbio conviene [sottolineatura nostra] / conservarlo. / Colgo l’occasione per salutarla e confermarle tutta la mia stima nel Signore. / Devotissimo / (f.to) A. Bugnini / segretario / timbro della S. Congregazione / Rev.do don Carlos Galan / Buenos Aires”.
Benché la risposta sia stata data alla curia di Buenos Aires, la domanda è di carattere generale e quindi anche la risposta ha valore ovunque sia vigente lo stesso uso.
(10) Cfr. CONCILIO DI TRENTO, sess. XIII, can. 11.
(11) Cfr. IDEM, sess. XIV. can. 7.
(12) Cfr. I Cor. 11, 5 ss.
(13) Eccli. 19, 27.
(14) PIO XII, Discorso ai partecipanti al 1° Congresso Internazionale indetto dall’”Unione Latina di Alta Moda”, dell’8-11-1957, in Discorsi e Radiomessaggi, vol. XIX, p. 578.
(15) Gv. 12, 32-33.
(16) Trascriviamo le parole del Signor cardinale Gut, cui sopra abbiamo fatto riferimento. Sono contenute in una intervista che si trova in La Doc. Cath. del 16 novembre 1969, p. 1048, col. 2: “[…] talora si sono superati i limiti, e molti preti hanno semplicemente fatto quello che piaceva loro. Quindi, quanto è talora accaduto, è quanto si sono proposti. Queste iniziative prese senza autorizzazione non le si poteva più, molto spesso, fermare, perché erano troppo avanti. Nella sua grande bontà e nella sua saggezza, il Santo Padre ha allora ceduto, spesso contro la sua volontà“.