Il Papa commenta la celebre parabola del seminatore ed esprime il suo dolore per la riconversione della basilica costantinopolitana di Santa Sofia in moschea.
di Michele Brambilla
La pagina di Vangelo della XV domenica del Tempo ordinario è la parabola del seminatore (cfr Mt 13,1-23), come ricorda lo stesso Papa Francesco affacciandosi per l’Angelus del 12 luglio: «la Parola di Dio, simboleggiata dai semi, non è una Parola astratta, ma è Cristo stesso, il Verbo del Padre che si è incarnato nel grembo di Maria. Pertanto, accogliere la Parola di Dio vuol dire accogliere la persona di Cristo, lo stesso Cristo», che suscita in noi il desiderio di compiere le opere del Padre.
«Ci sono», quindi, «diversi modi di ricevere la Parola di Dio. Possiamo farlo come una strada, dove subito vengono gli uccelli e mangiano i semi. Questa», denuncia il Papa, «sarebbe la distrazione, un grande pericolo del nostro tempo. Assillati da tante chiacchiere, da tante ideologie, dalle continue possibilità di distrarsi dentro e fuori di casa, si può perdere il gusto del silenzio, del raccoglimento, del dialogo con il Signore». C’è anche «un’altra possibilità: possiamo accogliere la Parola di Dio come un terreno sassoso, con poca terra. Lì il seme germoglia presto, ma presto pure si secca, perché non riesce a mettere radici in profondità»: come non pensare a tanti ragazzi cresimati?
«Possiamo, ancora – una terza possibilità di cui Gesù parla nella parabola – accogliere la Parola di Dio come un terreno dove crescono cespugli spinosi», ma fortunatamente esiste anche una quarta opzione, quella del terreno buono: «la semente caduta su questo terreno fertile rappresenta coloro che ascoltano la Parola, la accolgono, la custodiscono nel cuore e la mettono in pratica nella vita di ogni giorno», portando moltissimo frutto.
E a proposito di terreni che hanno dato molto frutto, come non pensare all’antico impero di Costantinopoli, la Cristianità orientale che ha allungato la sua folta chioma fino alle brume della Siberia, donando al mondo tesori inestimabili come il rito bizantino, le icone, il monachesimo, le dispute teologiche fondamentali dei secoli IV-V, santi del calibro di san Giovanni Cristostomo (349-438), san Cirillo (826-869) e san Metodio (815-885), fino ad arrivare ai grandi starec della Russia zarista e ai martiri ortodossi dell’epoca comunista? Un pensiero inevitabile mentre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan compie il sopruso di riaprire al culto islamico la basilica cristiana di Santa Sofia (in greco: Haghia Sophia). Il Papa prende a pretesto il fatto che «in questa seconda domenica di luglio ricorre la Giornata Internazionale del Mare» per confidare: «[…] il mare mi porta un po’ lontano col pensiero: a Istanbul. Penso a Santa Sofia, e sono molto addolorato». Un dolore che è analogo a quello espresso, in particolare, dai patriarchi Bartolomeo I di Costantinopoli e Kirill di Mosca, che riconoscono in Haghia Sophia la loro “chiesa madre”.
Non bisogna, però, intristirsi: come prega Francesco, «la Vergine Maria, modello perfetto di terra buona e fertile, ci aiuti, con la sua preghiera, a diventare terreno disponibile senza spine né sassi, affinché possiamo portare buoni frutti per noi e per i nostri fratelli».
Lunedì, 13 luglio 2020