Il beato Giovanni Paolo I immagine di una Chiesa che si lancia nella nuova evangelizzazione amando l’uomo post-moderno con “viscere materne”
di Michele Brambilla
Piove su Roma il 4 settembre 2022, esattamente come il 4 ottobre 1978, data dei funerali di colui che, da oggi, è il beato Giovanni Paolo I (1912-78), al secolo Albino Luciani. Papa Francesco presiede la Messa di beatificazione del predecessore, Pontefice solo per 33 giorni (26 agosto-28 settembre 1978). Un lasso di tempo molto breve, ma sufficiente a conquistargli il cuore dei fedeli cattolici, colpiti dalla sua semplicità e addolorati dalla sua morte prematura.
Papa Bergoglio, nell’omelia, riprende dal Vangelo le folle che accorrevano ad ascoltare: «Gesù è in cammino verso Gerusalemme e il Vangelo odierno dice che “una folla numerosa andava con lui” (Lc 14,25). Andare con Lui significa seguirlo, cioè diventare discepoli».
Cosa significa, però, essere discepoli di Gesù? «Possiamo immaginare», infatti, «che molti siano stati affascinati dalle sue parole e stupiti dai gesti che ha compiuto; e, quindi, avranno visto in Lui una speranza per il loro futuro. Che cosa avrebbe fatto un qualunque maestro dell’epoca, o – possiamo domandarci ancora – cosa farebbe un astuto leader nel vedere che le sue parole e il suo carisma attirano le folle e aumentano il suo consenso?». Semplice: avrebbe ripetuto gli slogan che avevano maggiore presa sull’uditorio, in modo da aumentare il proprio consenso. Cristo ha seguito un altro metodo: «Dio agisce secondo uno stile, e lo stile di Dio è diverso da quello di questa gente, perché Egli non strumentalizza i nostri bisogni, non usa mai le nostre debolezze per accrescere sé stesso. A Lui, che non vuole sedurci con l’inganno e non vuole distribuire gioie a buon mercato, non interessano le folle oceaniche. Non ha il culto dei numeri, non cerca il consenso, non è un idolatra del successo personale. Al contrario, sembra preoccuparsi quando la gente lo segue con euforia e facili entusiasmi. Così, invece di lasciarsi attrarre dal fascino della popolarità – perché la popolarità affascina –, chiede a ciascuno di discernere con attenzione le motivazioni per cui lo segue e le conseguenze che ciò comporta». Anche Albino Luciani, quando era vescovo, non temette di prendere decisioni e pronunciare discorsi che sapeva essere impopolari: per lui umiltà (scelse come motto episcopale Humilitas, come san Carlo Borromeo) significava anche accettare e promuovere il Magistero della Chiesa così com’è.
A chi pensa di “accasarsi” nel Regno dei Cieli è meglio dire che «il Signore chiede un altro atteggiamento. Seguirlo non significa entrare in una corte o partecipare a un corteo trionfale, e nemmeno ricevere un’assicurazione sulla vita. Al contrario, significa anche “portare la croce” (Lc 14,27): come Lui, farsi carico dei pesi propri e dei pesi degli altri, fare della vita un dono, non un possesso, spenderla imitando l’amore generoso e misericordioso che Egli ha per noi». Francesco cita il celebre Angelus del 10 settembre 1978, quello in cui Giovanni Paolo I affermò che «siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile». Come si sa, Papa Luciani aggiunse subito dopo che Dio «è papà; più ancora, è madre»: una frase che sulle prime scandalizzò molti, ma in realtà faceva riferimento a Is 49,15.
Isaia spiega che il Signore ci ama con «viscere materne» (in ebraico: rahamim). Come insegnò il nuovo beato nell’udienza del 27 settembre 1978, bisogna vivere «l’amore fino in fondo, con tutte le sue spine: non le cose fatte a metà, gli accomodamenti o il quieto vivere. Se non puntiamo in alto, se non rischiamo, se ci accontentiamo di una fede all’acqua di rose, siamo – dice Gesù – come chi vuole costruire una torre ma non calcola bene i mezzi per farlo», parafrasa l’attuale Pontefice.
Amare fino in fondo così come Dio ci ama senza misura, così come siamo. Giovanni Paolo I «ha incarnato la povertà del discepolo, che non è solo distaccarsi dai beni materiali, ma soprattutto vincere la tentazione di mettere il proprio io al centro e cercare la propria gloria. Al contrario, seguendo l’esempio di Gesù, è stato pastore mite e umile. Considerava sé stesso come la polvere su cui Dio si era degnato di scrivere (cfr A. Luciani/Giovanni Paolo I, Opera omnia, Padova 1988, vol. II, 11)», come disse il futuro Papa dopo essere stato ordinato vescovo di Vittorio Veneto.
«Con il sorriso Papa Luciani è riuscito a trasmettere la bontà del Signore. È bella», infatti, «una Chiesa con il volto lieto, il volto sereno, il volto sorridente, una Chiesa che non chiude mai le porte, che non inasprisce i cuori, che non si lamenta e non cova risentimento, non è arrabbiata, non è insofferente, non si presenta in modo arcigno, non soffre di nostalgie del passato» condannando a priori il presente, soprattutto ecclesiale.
Allora «preghiamo questo nostro padre e fratello, chiediamo che ci ottenga “il sorriso dell’anima”, quello trasparente, quello che non inganna: il sorriso dell’anima. Chiediamo, con le sue parole, quello che lui stesso era solito domandare: “Signore, prendimi come sono, con i miei difetti, con le mie mancanze, ma fammi diventare come tu mi desideri” (Udienza Generale, 13 settembre 1978)».
Lunedì, 5 settembre 2022