Mercoledì 31 gennaio 2024, a Roma, nella Sala Capitolare della Biblioteca del Senato della Repubblica, promosso dal sen. Marcello Pera, presidente della Commissione per la Biblioteca e l’Archivio Storico, si è tenuto un convegno dal titolo Il suicidio dell’Occidente.
Moderati dal dottor Francesco Pappalardo, responsabile della Biblioteca ospitante, i lavori sono stati introdotti dal dottor Domenico Airoma, procuratore della Repubblica di Avellino, vicepresidente del Centro Studi Rosario Livatino, che ha esordito con una explicatio terminorum, soffermandosi innanzitutto sulla nozione di Occidente, «la nostra patria culturale», che identifica un habitat culturale, «venuto formandosi mettendo insieme tre luoghi geografici ma soprattutto ideali: Atene, Roma e Gerusalemme». La nozione di suicidio deve però tener conto del fatto che sta morendo un falso Occidente, cioè «quell’identità artificiale imposta da una concezione dell’uomo nata nel seno dell’Occidente stesso, con l’obiettivo di estromettere il sacro dall’orizzonte terreno». Il convegno non intende essere «una mesta orazione funebre», maconvincere che è giunto il tempo della ricostruzione: «un tempo che richiede l’esercizio di una virtù particolare, quella della pazienza storica. Quella di chi è capace di intravedere e di far intravedere — innanzitutto con il proprio esempio — il vivido chiarore dell’alba nella melanconia dell’imbrunire».
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È quindi intervenuto il dottor Alfredo Mantovano, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, che, ricollegandosi indirettamente all’intervento precedente, ha rilevato come la centralità dell’uomo sia stata da sempre un pilastro fondamentale della cultura occidentale, consentendo di superare la visione dell’uomo quale parte di un meccanismo, da scartare se inidoneo. Questa visione, tuttavia, è stata rovesciata con l’irruzione del darwinismo nelle scienze sociali, che ha cercato di cambiare radicalmente la condizione umana «in una prospettiva di selezione artificiale dei più adatti al progresso della società».
Ha quindi ricostruito brevemente il filo ideologico che lega il darwinismo ottocentesco, l’eugenismo del secolo XX, alla base di regimi e prassi totalitari, e l’attuale politica biologica di derivazione darwinistica, i cui frutti sono l’eutanasia e il sostegno attivo al suicidio per le cosiddette «vite senza valore». Dopo la Seconda Guerra Mondiale all’interno di non poche democrazie occidentali si è passati «da una motivazione eugenetica di derivazione darwinista alla rivendicazione del diritto a morire come diritto di libertà». Rievocando la vicenda della piccola Indi Gregory (2023-2024), bimba di otto mesi, ritenuta «unfit», «inadatta alla vita», dai medici inglesi, Mantovano ha rilevato che sia negli Stati Uniti d’America, sia in alcuni Paesi europei, «la legittimazione della deriva eutanasica è avvenuta per sentenza, poi per protocolli, quasi mai passando per le scelte dei Parlamenti».
La resistenza dei genitori di Indi e l’iniziativa del governo italiano che — come già accaduto nel 2018 per il piccolo Alfie Evans (2016-2018) — ha riconosciuto alla bambina la cittadinanza italiana per tentare di curarla nel nostro Paese, non le hanno salvato la vita, ma hanno avuto una significativa eco mediatica in Italia, stimolando anche un dibattito oltre Manica, dove un gruppo di medici si è chiesto «a che serve una ricerca scientifica avanzata, se poi i suoi esiti non sono calati proprio per affrontare i casi più difficili e sfidanti». L’azione di un governo ovviamente non basta, perché la battaglia è anzitutto culturale e pre-politica, e deve muoversi sul terreno dell’elaborazione scientifica, filosofica e giuridica: «La sfida da raccogliere è quella di non demordere nonostante l’irrilevanza di quel che rimane del popolo cattolico italiano, e comunque di un popolo antropologicamente ben orientato; nonostante la difficoltà che esso ha di trovare guide al suo interno; nonostante il drastico abbassamento del suo profilo».
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«Con l’affievolirsi del Cristianesimo è diventata problematica anche l’umanità». Quest’affermazione del filosofo tedesco di origini ebraiche Karl Löwith (1897-1973) ha fatto da titolo alla relazione di S.Em. il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo emerito di Genova, presidente della Conferenza Episcopale Italiana dal 2007 al 2017, vicepresidente (2011-2016) e poi presidente (2016-2021) del Consiglio delle Conferenze dei Vescovi d’Europa. Di fronte alla crisi dell’Europa il presule ha richiamato «la gigantesca figura di san Benedetto da Norcia [480-547)», che ha indicato la strada per superare il radicale disorientamento della sua epoca, ponendo le basi della Cristianità, dove correnti spirituali, religiose e culturali differenti hanno trovato sintesi nel grande alveo del Vangelo di Cristo. «Il Continente europeo dall’Atlantico agli Urali — secondo il card. Bagnasco — ha le carte in regola per costituirsi come un soggetto plurimo e unito, forte e rispettoso dei diversi popoli». Occorre innanzitutto «recuperare la razionalità», non solo nella «sua funzione positivista ed empirica che misura il mondo fisico e riduce la realtà a materia», ma anche come «capacità riflessiva sul mondo nello spirito, sul senso e i significati ultimi del vivere e del morire, dei valori morali». Ha ricordato, dunque, che «l’Europa, prima di essere un complesso geografico, o un gruppo di popoli, o un’organizzazione mercantile e monetaria, è un’anima, un patrimonio di cultura, di ideali, di valori e di religione». L’Europa non può staccarsi dal cristianesimo, che può aiutare l’uomo moderno a ritrovare sé stesso, a cogliere la verità con l’intelligenza della fede e ad annunciarla con le parole della ragione. Tuttavia, «ciò è possibile se il Cristianesimo è profetico»: deve sapere, cioè, indicare «la via della vita» e smascherare «l’errore e il male portatore di morte», deve rifuggire «il consenso dei potenti di turno e il plauso delle folle» e deve proporre un giudizio sull’uomo, la società e la storia, altrimenti «diventa esortazione moraleggiante, sentimento evanescente, umanitarismo sincretista e mondano».
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La relazione del sen. Marcello Pera, intitolata L’arma del suicidio. La laicità, è partita dalla considerazione che «il laico che intende prescindere dalla fede religiosa si trova a corto di argomenti sul punto più delicato e decisivo: come giustificare i valori a fondamento della società a lui cara, quella aperta e liberaldemocratica?».
Secondo Pera la liberaldemocrazia sarebbe espressione del cristianesimo. Un certo liberalismo, però, avrebbe commesso l’errore di negare questo legame e di separarsi, quindi, dal supporto vitale dato dal cristianesimo. «È successo il cataclisma. È successo che, prima i princìpi sono stati staccati dal cristianesimo su cui John Locke (1632-1704) li aveva fondati, e si è cercato di goderne i frutti senza più curarsi della pianta. Poi, questi frutti sono stati coltivati separatamente, facendo esplodere una miriade incontrollata e incontrollabile di diritti. Infine, proprio questi diritti sono stati usati contro il cristianesimo. Si è passati dalla privatizzazione della fede, alla sua emarginazione, alla sua espulsione».
Inoltre, a suo avviso, anche «il cristianesimo si secolarizza, diventa umanesimo, ecologismo, pacifismo, democrazia, diritti umani», correndo il rischio di suicidarsi come religione. «Possiamo dotarci di una identità, se una fonte essenziale di identità, quella religiosa, è osteggiata o si degrada?», si chiede il presidente emerito del Senato, che lancia l’allarme e invita a reagire: «Se non corriamo sùbito ai ripari, purtroppo, si spalanca anche il suicidio dell’Europa».
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Ha svolto la relazione conclusiva il dottor Marco Invernizzi, reggente nazionale di Alleanza Cattolica, soffermandosi sui termini «Occidente», «suicidio» e «speranza». Il primo, seguendo l’insegnamento del sociologo delle religioni Rodney Stark (1934-2022), evoca un tratto che unisce tutta la storia dell’Occidente e giunge fino ai nostri giorni, cioè «quell’idea di persona che nasce e perdura ad Atene nei secoli precedenti l’Incarnazione e che distingue questa civiltà da tutte le altre contemporanee, una civiltà di uomini liberi». «La filosofia greca influenzò il popolo d’Israele e rimarrà uno dei capisaldi della civiltà occidentale, soprattutto dopo la diffusione del cristianesimo (che la fece propria) insieme al diritto romano».
Quanto al suicidio, «molte volte l’Occidente ha rischiato di morire o di suicidarsi eppure si è sempre in qualche modo rialzato. […] La novità del nostro tempo, successivo alla caduta del Muro di Berlino e alla fine delle ideologie, sta proprio nel fatto che l’odio contro l’Occidente […] trova una sponda importante dentro l’Occidente stesso, in quella “dittatura del relativismo” che si esprime nella cancel culture, nel disprezzo per la sacralità per la vita e per la centralità della famiglia, nella poca attenzione verso la persecuzione che decine di milioni di cristiani subiscono nel mondo, nella diffusione dell’ideologia gender».
Eppure, anche questa volta è legittimo sperare che la civiltà occidentale sopravviva: «una civiltà così importante e bella, proprio perché fondata sulla libertà della persona, può sempre rinascere quando le persone decideranno di usare la loro libertà per servire la verità e il bene».
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L’iniziativa è stata trasmessa in diretta streaming sul sito web del Senato della Repubblica e ha avuto eco sui media e sulle agenzie di stampa.