Il presidente Donald J. Trump ha un grave conflitto d’interesse. L’ideologia omosessualista. In campagna elettorale ha promesso fuoco e fiamme contro la «colonizzazione ideologica» del gender (direbbe Papa Francesco), ma adesso gli affetti familiari lo mettono spalle al muro. E non solo, perché anche in questo caso parrebbe azzeccatissimo l’adagio «follow the money».
Lunedì 13 febbraio Trump ha confermato in carica Randy W. Berry e la carica di Berry è, dal 13 aprile 2015, quella d’Inviato speciale per i diritti umani delle persone LGBTI (anche la sigla è trans e quindi varia: in questa versione indica “lesbiche, gay, bisex, transessuali e intersessuali”, cioè persone in cui coesistono caratteri maschili e femminili). La sua carica non è mai esistita fino a che non l’ha creata il presidente Barack Obama su richiesta del deputato Alan Lowenthal e del senatore Edward Markey, del Partito Democratico.
Nel 1993 Berry è entrato nel Foreign Service degli Stati Uniti, che dipende dal Dipartimento di Stato, con ruoli diplomatici in diversi Paesi. Omosessuale, è “sposato” a un uomo, Pravesh Singh; hanno due “figli”, un maschio e una femmina. Fra i compiti di Berry, vi è combattere le discriminazioni contro le persone LGBT nelle varie legislazioni del mondo ed è per questo che a suo tempo s’interessò pure dell’Italia alle prese con le “unioni civili” non mancando neppure l’occasione per una capatina in Vaticano nel novembre 2015. Il 20 gennaio, il giorno stesso in cui ha consegnato il testimone al proprio successore, Obama ha nominato Berry vice assistente del Segretario dell’Ufficio per la democrazia, i diritti umani e il lavoro, altra sezione del Dipartimento di Stato, onde garantirgli un futuro; ma, vista la conferma da parte di Trump ad ambasciatore LGBT, non ce n’era bisogno.
Perché Trump ha confermato Berry? Trump non lo ha detto, ma moltissimo dipende tanto dalla figlia Ivanka (nata dal matrimonio fra il presidente e la sua prima moglie, Ivana Zelníková) quanto da Jared Kushner, immobiliarista, marito d’Ivanka dal 2009. Lei è la figlia prediletta del presidente. L’ha affiancato nell’“impero” della Trump Organization, è stata la sua compagna di mondanità, la sua valletta social e pure la sua spalla nel trash televisivo.
Durante la campagna elettorale dell’anno scorso, ha appoggiato il padre di fatto “scippando” a Melania, la terza e attuale moglie di Trump, il ruolo di First Lady. Di lei il presidente si fida forse ciecamente e la sua influenza su di lui è notevole. Tant’è che di questa sua “musa” Trump ha nominato il marito al rango di Consigliere anziano del presidente, posizione chiave nel triumvirato (gli altri due sono Reince Priebus, Chief of Staff, e Steven K. Bannon, Chief Strategist) che lo affianca in tutto.
Ebbene, Ivanka e Jared sono noti supporter del mondo LGBT e alla loro pressione si dovrebbe – secondo il consuetamente bene informato Poltico.com – l’affossamento di un progettato ordine esecutivo presidenziale mirante a ribaltare il provvedimento con cui nel 2014, con la scusa di difenderli dal “bullismo”, il presidente Barack Obama impose “quote omosessuali” negl’impieghi federali. Al posto di quel presunto ordine esecutivo, martedì 31 gennaio la Casa Bianca ha invece diramato un comunicato breve e asciutto di tenore inverso: «Il presidente Donald J. Trump è deciso a proteggere i diritti di tutti gli americani, inclusa la comunità LGBTQ» (qui la sigla sta per “lesbiche, gay, bisex, transessuali e queer”, ovvero “checca”, che essendo però peggiorativo è stato sostituito da “questioning”, vale a dire “chi non sa, ancora non ha deciso gender, s’interroga”). Sembrerebbe un voltafaccia, ma la vicenda è più complicata, un prisma dalle molte facce.
La prima faccia sta a monte di tutto. Riguarda i “matrimoni” omosessuali. In campagna elettorale Trump li avversò fortemente – come ha sottolineato il mondo pro-LGBT, allarmato da quello che ha percepito come un abbandono della “linea Obama” -, ma di per sé questo non comporta il rigetto completo dell’ideologia “di genere”.
La seconda faccia del prisma è stata già anticipata: l’influsso di Ivanka e del marito Jared su Trump, il presunto ordine esecutivo scomparso e il comunicato della presidenza in data 31 gennaio.
La terza è quanto detto da Trump nel discorso di accettazione della nomination presidenziale il 21 luglio alla Convenzione nazionale del Partito Repubblicano di Cleveland, in Ohio: «Da vostro presidente, farò tutto ciò che sarà in mio potere fare per proteggere i nostri cittadini LGBTQ dalla violenza e dall’oppressione». Parrebbe semplicemente in linea con il comunicato del 31 gennaio e forse lo è. Ma qual è la linea che accomuna il discorso di allora al comunicato di oggi? Lo spiegano le parole del discorso di luglio lette per intero: «Da vostro presidente, farò tutto ciò che sarà in mio potere fare per proteggere i nostri cittadini LGBTQ dalla violenza e dall’oppressione di una ideologia straniera carica di odio». Trump aveva appena citato la strage compiuta il 12 giugno al nightclub per omosessuali Pulse di Orlando, in Florida, da Omar Mateen (personaggio ambiguo proprio sulla questione omosessuale in cui «[…] 49 americani meravigliosi sono stati selvaggiamente assassinati da un terrorista islamico» e l’intento dell’allora candidato presidente era promettere protezione dal terrorismo a qualunque cittadino americano. Per questo quelle sue parole fecero poco scalpore anche tra i conservatori. La conferma dell’ambasciatore LGBT Berry potrebbe venire giustificata da Trump sempre in quest’ottica di lotta alla violenza: è tirata per i capelli, ma potrebbe starci. Anche se non va scordato che il principale di Berry, l’attuale Segretario di Stato Rex Tillerson, ha chiesto insistentemente ai Boy Scouts of America (di cui è stato 33° presidente nazionale dal 2010 al 2012) di modificare lo statuto per ammettervi anche gli omosessuali. Visto questo, e visto che la ExxonMobil di cui Tillerson era amministratore delegato donava ampiamente alle organizzazioni abortiste, c’è da chiedersi come faccia l’attuale Segretario di Stato a essere buon amico del Vladimir Putin “mangia LGBT” e antiabortista.
Una quarta faccia del caleidoscopio è la decisione di Trump di abolire le linee guida con cui l’Amministrazione Obama permise ai transgender di entrare nei bagni e negli spogliatoi sia maschili sia femminili a seconda della propria percezione sessuale soggettiva, giustamente salutata come una sconfitta dell’ideologia gender. Epperò, in aprile, nel pieno delle primarie, Trump aveva sostenuto esattamente il contrario. Incomprensibile.
Incomprensibile a meno di non guardare diritto negli occhi la quinta e ultima faccia di questo enigmatico poliedro, la faccia di un personaggio singolarissimo qual è il miliardario Peter A. Thiel. Nato nel 1967 in Germania, cittadino tedesco, cittadino statunitense e dal 2011 pure cittadino neozelandese, cofondatore di PayPal, primo investitore esterno di Facebook e oggi membro del suo consiglio di amministrazione, Theil è un libertarian conservatore, un generosissimo finanziatore di candidati Repubblicani anche notoriamente avversi all’ideologia gender e un grande appassionato di fantasy e fantascienza: Isaac Asimov e Robert A. Heinlein (un classico dei libertarian conservatori), il gioco di ruolo “Dungeons & Dragons” e soprattutto J.R.R. Tolkien (ve n’e traccia nelle compagnie che ha fondato: Palantir Technologies, Valar Venture, Mithril Capital). Credente in un cristianesimo protestante un po’ fai-da-te che canzona gli atei, fan di Ronald Reagan e di Ayn Rand, annoverato nelle liste degl’invitati del Bilderberg Group, alla Convenzione Repubblicana il 22 luglio disse, clamorosamente: «Sono orgoglioso di essere gay, sono orgoglioso di essere Repubblicano, ma soprattutto sono orgoglioso di essere americano». Non era mai successo. E poi, da gay anti-Obama, aggiunse: «Ci dicono che il grande dibattito sia su chi deve usare quale bagno. Questa è una distrazione dai nostri problemi veri. Chi se ne importa?». Si può, cioè, essere omosessuali e nonostante questo concordare con alcune battaglie di chi combatte l’ideologia gender per intero.
Trump ha poi voluto Thiel nella squadra incaricata di operare la transizione dalla vecchia alla nuova Amministrazione. In dicembre, quando Trump incontrò i magnati della Silicon Valley per ammorbidirne i toni critici, l’uomo chiave fu proprio Thiel e fu Thiel a guadagnare a Trump l’appoggio di settori importanti del mondo high-tech. Prima ancora, nella fase finale della corsa elettorale contro Hillary Clinton, Thiel donò 1,25 milioni di dollari alla campagna di Trump.
Trump adora Theil. Una delle aziende di Thiel, la Palantir Technologies, si occupa di data-mining (tecniche e metodologie per estrarre conoscenze da grandi banche dati) e tra i suoi clienti vi sono la National Security Agency, la CIA e l’FBI. Addirittura mesi fa si parlò di Thiel (che ha studiato Diritto alla famosa Stanford Law School e che ha lavorato sette mesi nello studio Sullivan & Cromwell, uno dei più prestigiosi di New York) come giudice della Corte Suprema federale.
Insomma, quel che apparentemente sembra un susseguirsi di giravolte e di contraddizioni ha invece una sua logica. I “matrimoni” LGBT no, dice Trump, ma del resto parliamone. Follie come i bagni transgender no, dice il gay Thiel, ma il resto va bene. Sulla prima questione, Trump ci mette certamente del suo; ma sulle altre questioni, pare essere Thiel a metterci del suo. Finendo tutto nella retorica della sicurezza per i cittadini americani, Trump conta sul fatto che si noti meno.
Per il momento è una sconfitta, parziale, dell’ala più conservatrice dell’Amministrazione Trump. La quale parrebbe però avere scelto su questo argomento un profilo basso per non andare, per ora, allo scontro diretto con il presidente: sia in considerazione delle ottime mosse compiute da Trump a tutela degli altri princìpi non negoziabili, sia per fare di necessità virtù e smangiare l’ideologia gender un passo alla volta con i mezzi e i materiali umani che la realtà mette a disposizione.
Marco Respinti, foto e articolo da “la Bussola Quotidiana del 17 febbraio 2017”