Intervista all’Ordinario Militare Santo Marcianò, da Avvenire del 19/08/2021
Non è tutto da buttare. E non bisogna considerare inutile il sacrificio dei nostri militari che hanno perso la vita o sono rimasti feriti in Afghanistan. «Il loro è un bene seminato e, come tale, destinato a portare frutti che, pur se a volte invisibili, matureranno ». L’arcivescovo Santo Marcianò, ordinario militare per l’Italia, conosce bene e di persona (grazie alle sue numerose visite sul campo) l’apporto che i soldati italiani hanno dato al Paese asiatico ora tornato sotto il controllo dei taleban. E non manca di sottolinearlo (come già aveva fatto martedì il premier Mario Draghi) unendo a questa sua convinzione una parola di gratitudine e una di speranza. «In questo momento storico, nel quale la politica appare confusa, se non sconfitta – ribadisce il presule –, è necessario rileggere proprio con gratitudine il senso di un impegno che ha portato, per 20 anni, tanti professionisti e giovani delle nostre Forze Armate ad offrire il proprio servizio, peraltro molto apprezzato dalla comunità civile e dalla comunità internazionale ».
Eppure c’è chi ritiene fallimentare e inutile non solo l’impresa militare svolta in Afghanistan, ma il tentativo di trapiantare in un’altra cultura quelli che sarebbero valori ‘occidentali’, come, ad esempio, la democrazia.
Non entro nel merito della valutazione politica, ma colgo una prospettiva di speranza proprio per la difesa e la custodia di alcuni valori, non relativizzabili dalle singole culture ma insiti nella dignità di ogni persona: penso alla difesa della vita umana, alla cura delle donne e dei bambini, alla scolarizzazione e all’istruzione, alla promozione della libertà religiosa. Valori che i nostri militari hanno veicolato grazie a un servizio di alta competenza, a uno stile di attenzione all’uomo e di rispetto per ogni persona, al sapiente utilizzo degli strumenti del dialogo e della collaborazione con le autorità del luogo e con i colleghi di altri Paesi. Soprattutto, valori che essi hanno testimoniato.
Che cosa resta dunque di questa testimonianza, spintasi in alcuni casi fino alla perdita della vita?
Ho detto ‘testimoniato’ non a caso. In questo momento, non possiamo dimenticare come il sacrificio di tanti nostri giovani militari, più di 50 morti e più di 700 feriti in 20 anni, sia stata un’autentica testimonianza che merita tutta la nostra gratitudine, anche nei confronti delle famiglie: il loro è un bene seminato e, come tale, destinato a portare frutti che, pur se a volte invisibili, sono forse ora affidati alla semina di quei ragazzi che i nostri giovani hanno avvicinato, di quelle donne che essi hanno rispettato, di quei bambini per i quali sono stati di esempio.
E sul piano delle realizzazioni, quale eredità lasciamo?
Nelle mie visite in Afghanistan ho potuto toccare con mano quanto reale sia stato l’apporto del nostro Paese alla difesa, alla formazione del mondo militare locale, alla promozione umana e sociale di quelle popolazioni. Un apporto che ha contribuito alla crescita del territorio, anche grazie ai progetti di cooperazione ai quali la nostra stessa Chiesa ha contribuito, con iniziative quali l’aiuto economico spedito alle famiglie in difficoltà e un progetto, in collaborazione con il Banco Farmaceutico e il Coi (Centro Operativo Interforze), che coinvolge anche altri teatri operativi e, in Afghanistan, dal 2017 al 2019 ha permesso l’invio di farmaci per un totale di quasi 130mila euro. Sul campo ho potuto apprezzare non solo professionalità e dedizione, ma lo stile, la motivazione profonda, la convinzione che anima gli uomini e le donne delle Forze Armate nello svolgere i loro compiti. Convinzione che non si esaurisce sul piano del fare ma arriva a toccare l’essere; che non si limita ad assicurare servizi ma è profondamente attenta ai valori.
Quale deve essere l’atteggiamento della comunità internazionale adesso, per costruire la pace?
La storia si cambia prima di tutto con la testimonianza personale. In tal senso quella dei militari italiani è preziosa anche per la comunità internazionale, per la nostra stessa Europa, che sarà artigiana di pace solo nella misura in cui vorrà ritrovare le sue profonde radici cristiane, che possono rinvigorire antropologie svuotate di valori e significati e contagiare di bene tante culture.