di Michele Brambilla
Nella solennità della Santissima Trinità ritorna l’appuntamento con la preghiera dell’Angelus, sostituita per tutto il Tempo di Pasqua dal canto del Regina coeli. Celebrata la discesa dello Spirito Santo a Pentecoste, la Chiesa si sofferma a contemplare il mistero del suo Dio così come Egli è, avendone conosciute le Tre Persone uguali e distinte.
Noi conosciamo la Trinità perché l’Emmanuele, Cristo, ce l’ha rivelata incarnandosi. «Gesù ci ha manifestato il volto di Dio», ha detto il Papa l’11 giugno. «Dio è tutto e solo Amore, in una relazione che tutto crea, redime e santifica: Padre e Figlio e Spirito Santo». È la cosiddetta “Trinità economica”, ovvero il modo graduale con cui la Trinità si è rivelata nella storia della salvezza dapprima come Padre creatore, poi come Figlio redentore, infine come dono ai discepoli, da parte del Padre e del Figlio assieme, dello Spirito santificatore.
Papa Francesco sottolinea soprattutto come questo riveli che il Dio cristiano è relazione d’amore al Suo stesso interno. Un amore che è traboccato nella creazione e nella redenzione degli uomini, creati a Sua immagine e somiglianza, ovvero capaci di amare. «Questo nome esprime che Dio non è lontano e chiuso in sé stesso, ma è Vita che vuole comunicarsi, è apertura, è Amore che riscatta l’uomo dall’infedeltà».
Dio spinge, quindi, ad amare e a costituire una comunità cristiana che «[…] pur con tutti i limiti umani, può diventare un riflesso della comunione della Trinità, della sua bontà e bellezza. Ma questo […] passa necessariamente attraverso l’esperienza della misericordia di Dio, del suo perdono».
Il vero nome di Dio è quindi misericordia. Riferendosi alla pagina di Vangelo del Messale secondo il rito romano del giorno, il Pontefice commenta: «Nel dialogo notturno con il Nazareno, Nicodemo comprende finalmente di essere già cercato e atteso da Dio, di essere da Lui personalmente amato. Dio sempre ci cerca prima, ci attende prima, ci ama prima. È come il fiore del mandorlo; così dice il Profeta: “Fiorisce prima” (cfr Ger 1,11-12). Così infatti gli parla Gesù: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Che cosa è questa vita eterna? È l’amore smisurato e gratuito del Padre che Gesù ha donato sulla croce, offrendo la sua vita per la nostra salvezza. E questo amore con l’azione dello Spirito Santo ha irradiato una luce nuova sulla terra e in ogni cuore umano che lo accoglie; una luce che rivela gli angoli bui, le durezze che ci impediscono di portare i frutti buoni della carità e della misericordia».
Un missionario di passaggio nella parrocchia di chi qui scrive ha una volta affermato, ironicamente, in questa ricorrenza, che la SS. Trinità «[…] è una festa un po’ da preti», quasi che la celebrazione di un dogma “costato” due secoli e mezzo di Concili per venire definito solleticasse i palati solo di teologi e di vescovi acculturati. La battuta è indicativa di una mentalità clericale che ha creato, nei secoli, la tradizione secondo la quale il giorno della SS. Trinità è meglio non predicare al popolo, poiché sarebbe un mistero di ardua comprensione per gli stessi sacerdoti, una mentalità peraltro contrastata da quello stesso missionario nel resto dell’omelia.
Certamente il mistero profondo delle Persone divine sfuggirà all’uomo fino a che egli rimarrà sulla Terra, ma il Santo Padre invita a ricavare anche dal volto di un “Deus charitas est” uno stimolo all’apertura missionaria e caritatevole verso gli altri. Un Dio che è relazione non può non creare nei propri fedeli relazioni buone, rappresentative del Suo essere amore. Ecco perché non è cattolico chi si proclama tale senza credere nella Chiesa o fomentandone le lotte intestine.