Il nostro Redentore è vivo, non ci abbandona alle nostre tragedie, ma per primo si erge sulla polvere
di Michele Brambilla
L’udienza del 18 maggio è dedicata da Papa Francesco a Giobbe. «Noi incontriamo Giobbe», spiega, «nel nostro cammino di catechesi sulla vecchiaia: lo incontriamo come testimone della fede che non accetta una “caricatura” di Dio, ma grida la sua protesta di fronte al male, finché Dio risponda e riveli il suo volto. E Dio alla fine risponde, come sempre in modo sorprendente: mostra a Giobbe la sua gloria ma senza schiacciarlo, anzi, con sovrana tenerezza», attributo, rimarca il Pontefice, tipico del Padre.
Il racconto del Libro di Giobbe è parabolico, si rivolge, cioè, a tutti gli uomini. Giobbe, dopo aver perso beni e figli, deve pure subire le maldicenze degli amici, che lo credono punito dal Signore per qualche peccato, secondo la tipica logica retributiva veterotestamentaria, ma «Dio rimprovera gli amici di Giobbe che presumevano di sapere tutto, sapere di Dio e del dolore, e, venuti per consolare Giobbe, avevano finito per giudicarlo con i loro schemi precostituiti», come rischia chiunque si riduca ad una fede formale o ad un rigido moralismo, denuncia il Papa.
A sbloccare la situazione, ecco apparire Dio stesso: «ecco come si esprime il Signore nei loro confronti. Così dice il Signore: “La mia ira si è accesa contro di [voi][…], perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe. […]”: questo è quello che dice il Signore agli amici di Giobbe. “Il mio servo Giobbe pregherà per voi, affinché io, per riguardo a lui, non punisca la vostra stoltezza, perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe” (Gb 42,7-8)», che si è rifiutato di vedere in Dio un fustigatore implacabile e persecutorio. Dio non vuole mai il male dei suoi figli! Con toni che prefigurano la vittoria pasquale del Giusto per eccellenza, Cristo (non a caso nel rito ambrosiano queste pagine si leggono nei primi tre giorni della Settimana Santa), «il punto di svolta della conversione della fede avviene proprio al culmine dello sfogo di Giobbe, là dove dice: “Io so che il mio redentore è vivo / e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! / Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, / senza la mia carne, vedrò Dio. / Io lo vedrò, io stesso, / i miei occhi lo contempleranno e non un altro” (Gb 19,25-27). Questo passaggio è bellissimo. A me viene in mente», dice il Papa dimostrando ancora una volta un’ottima cultura musicale, «la fine di quell’oratorio geniale di Haendel, il Messia, dopo quella festa dell’Alleluja lentamente il soprano canta questo passaggio: “Io so che il mio Redentore vive”, con pace». La pace di chi sa che Dio non si pone mai contro l’uomo, ma per noi ha persino affrontato la morte di croce, fino a trionfarne.
Tutti, afferma il Santo Padre, conosciamo dei “Giobbe”. «Tutti abbiamo conosciuto persone così. Siamo stati impressionati dal loro grido, ma spesso siamo anche rimasti ammirati di fronte alla fermezza della loro fede e del loro amore nel loro silenzio», mentre anche Dio sembrava rimanere in silenzio davanti alle loro tragedie. In realtà, «il “silenzio” di Dio, nel primo momento del dramma, significa questo. Dio non si sottrarrà al confronto, ma all’inizio lascia a Giobbe lo sfogo della sua protesta, e Dio ascolta. Forse, a volte, dovremmo imparare da Dio questo rispetto e questa tenerezza», che supera il frastuono delle pseudo-spiegazioni umane. Viviamo in un mondo in cui non ci si ascolta più, mentre il Signore prima ascolta e poi agisce.
«La professione di fede di Giobbe – che emerge proprio dal suo incessante appello a Dio, a una giustizia suprema – si completa alla fine con l’esperienza quasi mistica, direi io, che gli fa dire: “Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto” (Gb 42,5). Quanta gente, quanti di noi dopo un’esperienza un po’ brutta, un po’ oscura, dà il passo e conosce Dio meglio di prima! E possiamo dire, come Giobbe: “Io ti conoscevo per sentito dire, ma adesso ti ho visto, perché ti ho incontrato. Questa testimonianza è particolarmente credibile se la vecchiaia se ne fa carico, nella sua progressiva fragilità e perdita», avendo pesato la miseria della pretesa umana di risolvere tutto con le proprie forze. Esorta ancora il Papa: «guardiamo gli anziani, guardiamo i vecchi, le vecchie, le vecchiette; guardiamoli con amore, guardiamo la loro esperienza personale. Essi hanno sofferto tanto nella vita, hanno imparato tanto nella vita, ne hanno passate tante, ma alla fine hanno questa pace, una pace – io direi – quasi mistica, cioè la pace dell’incontro con Dio, tanto che possono dire “Io ti conoscevo per sentito dire, ma adesso ti hanno visto i miei occhi”. Questi vecchi assomigliano a quella pace del Figlio di Dio sulla croce che si abbandona al Padre», come ripete anche ai pellegrini portoghesi. Ai polacchi risponde: «due giorni fa avete ricordato sant’Andrea Bobola, martire gesuita, patrono della vostra Patria. Il suo impegno per l’unità della Chiesa, la sua forza d’animo e la sua fermezza nella difesa della fede in Cristo, vi diano il coraggio di professare i valori evangelici, soprattutto di fronte alle tentazioni della mondanità».
Giovedì, 19/05/2022