La Resurrezione di Lazzaro di Sebastiano del Piombo, “favorito” da un intervento dell’amico Michelangelo Buonarroti, ci ricorda una vittoria molto più importante: quella di Cristo sulla morte
di Michele Brambilla
Nel 1516 il card. Giulio de’ Medici (1478-1534), futuro Papa Clemente VII, commissionò due pale d’altare per la cattedrale di Narbonne, sua sede episcopale. Una fu assegnata a Sebastiano Luciani (1485-1547), detto “del Piombo”, e l’altra a Raffaello Sanzio (1483-1520). Luciani dipinse una Resurrezione di Lazzaro, mentre Raffaello iniziò la celebre Trasfigurazione, rimasta incompiuta alla morte del grande pittore urbinate.
Poiché la liturgia ambrosiana dedica da sempre la V domenica di Quaresima alla contemplazione della risurrezione di Lazzaro, ci soffermiamo proprio sul capolavoro di Sebastiano del Piombo, il quale si avvantaggiò dell’amicizia di Michelangelo Buonarroti (1476-1564), storico rivale del Sanzio. Michelangelo non esitò, infatti, a consegnare all’amico alcuni suoi cartoni preparatori.
In effetti la descrizione del corpo di Lazzaro redivivo (ma anche quella dell’uomo che lo libera dal sudario) risente, nella muscolatura, degli stilemi tipici dei nudi michelangioleschi. La scelta dei colori delle vesti e l’atmosfera crepuscolare, con il cielo solcato da nubi, sono invece tipici di Sebastiano del Piombo. Come non scorgere, però, anche una dipendenza da Leonardo da Vinci (1452-1519) nello sfondo, dove troviamo un ponte ad archi molto simile a quello disegnato dal genio toscano nella Gioconda?
Concentrandoci sulla scena sacra, essa rispetta doverosamente il dettato di Gv 11,1-53. Al centro c’è Gesù, che prega il Padre (il braccio destro si alza verso il Cielo) di risuscitare l’amico (indicato con la mano sinistra). L’indice puntato ricorda immediatamente quello di Adamo nella Cappella Sistina, opera ancora una volta di Buonarroti. Il parallelismo Adamo-Cristo è peraltro assolutamente canonico: in Gesù è restaurata l’umanità così come pensata nel progetto originario di Dio.
Lazzaro è seduto come in trono e guarda Gesù negli occhi: l’uomo redento è di nuovo in grado di alzare lo sguardo verso il Creatore e di passeggiare con Lui, come avveniva nell’Eden (la natura lussureggiante attorno lo richiama fortemente). L’amico di Betania anticipa anche il destino stesso di Gesù: il miracolo avviene perché i discepoli, spaventati dalla prospettiva della Passione, comprendano che ne uscirà vincitore.
Come si legge nel Vangelo, accanto a Gesù c’è Marta, sorella di Lazzaro, la prima a correre incontro al Signore quando Egli fa ritorno a Betania dopo la morte dell’amico. Marta ha tentato di dissuadere Gesù dall’aprire la tomba di Lazzaro perché «manda già cattivo odore: è li da quattro giorni» (Gv 11,40), ed ora, alla vista del cadavere che si sbenda, tende le mani e volta il capo con un moto di naturale ripugnanza. La sorella Maria, invece, è inginocchiata davanti a Gesù, come nel brano di Lc 10,38-41 («Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta»), che stabilisce la necessaria sinergia tra la contemplazione e l’azione.
Ai piedi di Gesù c’è anche Pietro. Quasi presagendo la sensibilità della Controriforma, Sebastiano del Piombo ribadisce con san Pietro inginocchiato la necessità della mediazione ecclesiale. Proprio nei mesi in cui, in Germania, Martin Lutero (1483-1546) stava preparando le sue 95 tesi.
Di fronte al miracolo, la folla si divide. C’è chi si abbraccia terrorizzato, chi spalanca le braccia sbalordito, chi (alcune donne sullo sfondo) continua a piangere un morto che è tornato in vita, chi trasforma (i farisei, che discutono animatamente) persino il bene in capo di accusa e correrà (i versetti da Gv 11,45 a Gv 11,53) a denunciare il Redentore al Sinedrio.
Sullo sfondo il già citato ponte, teso non solo ad evocare un paesaggio leonardesco, ma soprattutto a spiegare l’etimologia della stessa parola “Pasqua” in ebraico: pesach, cioè “passaggio”. Il passaggio dalla paganità in rovina (la città diroccata a sinistra) alla Città fortificata sul monte (la Chiesa) che si scorge a destra dell’enorme albero (l’arbor vitae, cioè la croce) che ombreggia tutta la scena.
Sabato, 16 marzo 2024