Il tema Beatitudini ha avuto grande importanza nella predicazione, poco è stato invece rappresentato dagli artisti.
di Mario Vitali
Le Beatitudini, generalmente otto, nelle loro prime raffigurazioni, appaiono come figure di donne con un filatterio, applicato al capo o al braccio, su cui è scritto il testo della beatitudine di riferimento; così appaiono nel mosaico dell’Ascensione nella Basilica di S. Marco a Venezia (XII sec.) o nella chiesa abbaziale di S. Michele di Hildesheim (XI sec.) in Germania.Generalmente gli artisti si accontentavano di mostrare il testo delle beatitudini su filatteri portati da angeli, probabilmente per la difficoltà di tradurle in immagini.
Le opere più interessanti sono proposte da pochi nomi illustri come Cosimo Rosselli (1439 – 1507) e Giovanni da Fiesole (1395-1455), più conosciuto come Beato Angelico, che ritennero indubbiamente più incisivi i tentativi di accostare alle beatitudini episodi e figure tratte dalla Scrittura.
Cosimo Rosselli realizzò l’affresco per disposizioni ricevute da Lorenzo de Medici che desiderava sanare i contrasti sorti con papa Sisto IV proponendo alcuni dei più valenti pittori fiorentini affinché si dedicassero alla realizzazione dell’ambizioso progetto di decorare la nuova cappella palatina del palazzo Apostolico.
Nel dipinto sono rappresentati due episodi narrati nel Vangelo di San Matteo: Gesù che pronuncia il discorso della montagna e Gesù che guarisce un lebbroso.
Nella parte sinistra dell’affresco la scena è ambientata su un monte e, sullo sfondo, una città immersa in un rigoglioso paesaggio, in primo piano Gesù mentre pronuncia il discorso e alle sue spalle gli apostoli. Tutt’attorno la folla che ascolta Gesù e un gruppo di donne con il velo bianco sul capo.
Nella parte destra dell’affresco Gesù, attorniato dagli Apostoli, guarisce il lebbroso inginocchiato che chiede di essere sanato.
In secondo piano Gesù che con gli apostoli scende dal monte.
La scena fa parte delle Storie di Gesù e mostra più episodi contemporaneamente. Il dipinto si trova di fronte al un altro affresco che raffigura la discesa di Mosè dal monte Sinai, realizzato anch’esso da Rosselli, ed è accomunato a questo dalla presenza del monte come luogo in cui Dio manifesta la sua volontà di stabilire un’alleanza con gli uomini. Si vede infatti il Signore che, seguito dai dodici apostoli, scende dal monte e, poco dopo in primo piano, tiene il suo discorso alle folle, con gli apostoli alla sua destra.
Il Beato Angelico dipinse il discorso della montagna (1438-1446) per il convento di San Marco a Firenze, l’opera è di una bellezza straordinaria.
La scena rappresentata dall’Angelico si svolge in un paesaggio spoglio ma ricco di luce e raffigura Gesù, seduto su una roccia, attorniato solo dai dodici Apostoli. La postura altera e l’espressione del volto indicano in lui il Maestro. La mano sinistra stringe un rotolo chiuso, il rotolo della Legge Nuova che è Lui stesso. La mano destra è alzata e l’indice è rivolto verso l’alto, verso il Padre a indicare l’origine delle sue parole. C’è un presente, Gesù, l’amico sapiente che istruisce i suoi discepoli, è il mediatore tra gli uomini e il Padre, e c’è un futuro, la gioia senza fine al cospetto del Padre.
Gli Apostoli, seduti anch’essi sulla roccia a semicerchio di cui Cristo è l’inizio e la fine, l’Alfa e l’Omega, ascoltano con attenzione e la gravità dei loro volti fa comprendere quanto importanti siano le parole che rivolge loro il Maestro. I loro abiti hanno colori differenti a indicare la varietà delle persone che intorno al Maestro rappresentano la Chiesa. Forse l’artista ha inteso raffigurarla come città collocata sopra un monte: i dodici sembrano delineare la cinta muraria mentre Gesù emerge come la torre.
I due artisti, pur realizzando opere tra loro molto diverse, presentano il Signore come il Maestro che dà compimento alla Legge Antica. Non c’è contraddizione tra la Legge Antica e quella Nuova. L’autorevolezza di Gesù, il suo indirizzare il dito della mano verso il Cielo vuole indicare il mandato ricevuto dal Padre che esclude ogni possibile divergenza tra le due espressioni della Legge divina.
Scriveva Benedetto XVI: “Ma allora che cosa sono le Beatitudini? Anzitutto, esse si inseriscono in una lunga tradizione di messaggi veterotestamentari, quali troviamo, per esempio, nel Salmo 1 e nel testo parallelo di Geremia 17,7s…. Benedetto l’uomo che confida nel Signore…. Sono parole di promessa”. Gesù, nuovo Mosè, «prende posto sulla “cattedra” della montagna» (Gesù di Nazaret, Milano 2007, vol 1., p. 88) e proclama «beati» i poveri in spirito, gli afflitti, i misericordiosi, quanti hanno fame della giustizia, i puri di cuore, i perseguitati (cfr Mt 5,3-10). Non si tratta di una nuova ideologia, ma di un insegnamento che viene dall’alto e tocca la condizione umana, proprio quella che il Signore, incarnandosi, ha voluto assumere, per salvarla. Perciò, «il Discorso della montagna è diretto a tutto il mondo, nel presente e nel futuro … e può essere compreso e vissuto solo nella sequela di Gesù, nel camminare con Lui» (Ibid., p. 92).
Le Beatitudini sono un nuovo programma di vita, per liberarsi dai falsi valori del mondo e aprirsi ai veri beni, presenti e futuri. Quando, infatti, Dio consola, sazia la fame di giustizia, asciuga le lacrime degli afflitti, significa che, oltre a ricompensare ciascuno in modo sensibile, apre il Regno dei Cieli. «Le Beatitudini sono la trasposizione della croce e della risurrezione nell’esistenza dei discepoli» (ibid., p. 97). Esse rispecchiano la vita del Figlio di Dio che si lascia perseguitare, disprezzare fino alla condanna a morte, affinché agli uomini sia donata la salvezza.
Sabato, 7 ottobre 2023