
La salita al Calvario secondo Hieronymus Bosch
di Mario Vitali
A Jeroen Anthoniszoon van Aken, più noto come Hieronymus Bosch, (1453?-1516) sono attribuite tre tele della “salita al Calvario”, quella custodita presso il Museo delle belle arti di Gand in Belgio è l’ultima opera autografa dell’originale pittore olandese.
Il dipinto deve la sua fama all’originalità dei tratti somatici dei suoi personaggi che, tuttavia, non vanno a discapito della narrazione e del significato dell’opera.
Nella tela rettangolare, dal fondo drammaticamente scuro, emergono con violenza volti e gesti. L’autore ha presentato un ipotetico spaccato del cammino del Signore carico della croce verso il Golgota. L’immagine fissa, come una foto istantanea, un momento della salita al Calvario, come se qualcuno avesse fermato quel triste corteo.
I personaggi ci sono tutti, i due ladroni in alto e in basso a destra, maghi, fattucchieri e professionisti dell’occulto, il Cireneo dietro Gesù e la Veronica in basso a sinistra.
Tutti i personaggi vestono abiti cinquecenteschi per significare che i fatti non sono confinati nel passato e non seguono una storia conclusa e da raccontare, ma che sono fatti veri che accadono anche nel presente.
Nessuno dei personaggi sta guardando Gesù. L’artista in quest’opera vuole rappresentare un mondo distratto, beffardo, chiuso al divino e che non sa cosa farsene di Lui e della sua croce. Ma non è questo mondo buio ad avere la meglio perchè i veri protagonisti dell’opera sono proprio Cristo e la sua croce.
Con straordinaria abilità Bosch dapprima attira lo sguardo dell’osservatore sul carosello di volti dalle singolari fattezze, volti deformi ed esagitati con gli occhi fuori dalle orbite, volti infernali che fanno immaginare le risate spaventose degli avversari dichiarati di quel Messia che avevano in pugno e del quale facevano lo zimbello di tutti, suscitando così una naturale curiosità nell’osservatore per poi guidare il suo sguardo e condurlo a posarsi su quel volto mite a cui sono accostate le mani che sembrano non sorreggere ma accarezzare la croce.
I volti sembrano uscire dalle tenebre perché quella è l’ora delle tenebre. Il male viene incarnato nel volto di esseri umani che con la loro caricaturalità descrivo la miseria umana, volti deformi perché deformati dal male. (Fig. 2)
La croce è rappresentata due volte nel dipinto, la prima è quella che porta Gesù aiutato dal Cireneo, l’altra è quella rappresentata da due immaginarie diagonali che si incrociano al centro del dipinto sul volto di Gesù che diventa il centro di tutta la composizione.
Nell’angolo in basso a destra il ladrone sembra sbeffeggiato da tre personaggi verso i quali egli si rivolta con fare ringhioso, con sguardo truce, dove la sua cattiveria non si estingue neppure nell’ora più estrema, la sua fronte è corrugata, la bocca sdentata, è abbrutito dal suo stesso male del quale è schiavo come significato dal cappio che porta al collo. (Fig. 2)
Nell’angolo in alto a destra Disma, il buon ladrone, Il suo viso è pallido e sofferente, forse per la consapevolezza del male compiuto, appare terreo per il terrore della terribile fine che lo attende, la morte di croce e la dannazione eterna. Disma sembra volersi svincolare dall’abbraccio dell’inquietante figura che gli sta accanto che, dalla tonsura e dal cappuccio, potrebbe essere un frate che, con lo sguardo mortifero e il dito accusatore, vuole negargli ogni speranza di perdono, quel barlume di speranza che forse poteva essersi acceso nel suo animo perché aveva guardato per un attimo il volto mite di quel condannato e aveva scorto quello sguardo di misericordia che proprio quel frate gli stava negando (Fig.3). Ma sappiamo che il cielo che Disma osserva con i suoi occhi semichiusi tra poche ore lo accoglierà come il primo frutto di salvezza dell’albero della croce.
Nell’angolo in basso a sinistra c’è la Veronica con gli occhi chiusi ma con il viso luminoso rivolto verso il telo dove è impressa l’immagine del volto di Cristo risorto con gli occhi aperti, questo è l’unico volto che guarda lo spettatore. Solo identificandosi in quel volto l’uomo riconosce se stesso (Fig.4).
Giungendo al centro del quadro l’icona di Cristo, l’immagine più defilata appare come immagine di pace, di tranquillità e di bellezza tra la bruttezza e il caos del mondo circostante.
Il suo volto è di una mitezza assoluta, i suoi occhi sono chiusi, abbraccia la croce che porta sulle spalle e sembra accarezzarla rimanendo lì al centro di questo vortice di follia.
Sabato, 22 marzo 2025