Il volto di Cristo, ritratto da Tiziano, mentre replica con nettezza ma non con la perentorietà che non lascia scampo, il Signore vince, non stravince!
di Mario Vitali
Tiziano Vecellio (Pieve di Cadore, 1488/1490 – Venezia, 27 agosto 1576) nel 1516 ricevette dal duca Alfonso d’Este (1476 – 1534) l’incarico per la realizzazione di un dipinto destinato alla sua camera, come si evince dalle dimensioni contenute dell’opera (75 x 56 cm), con lo scopo di favorire la devozione e la preghiera di chi osserva il dipinto.
Tiziano scelse come tema la disputa tra Gesù e i farisei riportata nel Vangelo di S. Matteo (Mt 22, 17-22).
“Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Di chi è questa immagine e l’iscrizione?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”
La scena rappresentata da Tiziano propone allo sguardo dell’osservatore due volti, quelli di Gesù e di un fariseo e i loro gesti che manifestano un contrasto tra le due persone ritratte dal busto in su. Chi osserva si sente parte della scena che si svolge in uno spazio indefinito dal fondo scuro. Le due figure sembrano premute l’una sull’altra, quella di Gesù da l’impressione di scivolare sul fianco, calcato alle spalle dall’irruenza dell’ambiguo personaggio che tradisce un’eccessiva eccitazione, una disinvoltura tipica dei maleducati che sfidano le persone facendosi avanti fin sotto il naso.
L’azione è quindi incentrata sul quesito rivolto maliziosamente al Signore a proposito della liceità del pagamento del tributo a Cesare, e sulla ferma risposta di Gesù, così come narrato dal vangelo di S. Matteo.
L’opera offre molti spunti di meditazione, perché la domanda posta dal fariseo era centrale non solo nella situazione politica in cui Israele si trovava in quel momento, ma anche nella questione relativa al rapporto tra i credenti, il potere, i beni del mondo e Dio. Un tema decisamente importante per un uomo di potere quale era Alfonso d’Este.
Il centro narrativo della scena è la moneta, che è girata dalla parte del ritratto di Cesare. La mano destra di Gesù sfora la moneta con distacco mentre l’avversario la trattiene nervosamente. Nel disegno del profilo del fariseo si può intuire una arrogante ignoranza. Nella figura umana Tiziano mostra la meschinità di uno spirito capace di concepire solo questioni semplificate dall’interesse, la doppiezze di chi chiede per provocare e non per sapere, per costringere a prendere partito ed istigare ad atti estremi.
Il fariseo indossa una veste gialla e un orecchino con una pietra rossa, segno di ostentata ricchezza e di attaccamento al denaro evidenziato dalla sua mano che con le dita strette trattiene la moneta che gli Signore gli ha restituito.
Il Salvatore indossa una veste rossa che contrasta con il blu scuro del suo mantello e sposta l’attenzione di chi osserva dal denaro al volto di Gesù che è il centro di luce del quadro, e il tono chiaro del suo volto contrasta con quello arrossato del suo oppositore appena smascherato nella sua malizia.
Il volto di Gesù ha la luce piena di una signorile compostezza. I lineamento sottili e appuntiti fanno da cornice a uno sguardo diretto e pungente, che ha tutti i tratti della comprensione che è insieme acuta intuizione e benevola condiscendenza.
Dal suo viso, rilassato e reclinato verso l’interlocutore, emana una affettuosa fermezza e una accennata amarezza per la evidente dimostrazione della durezza di cuore che lascia sconcertati. La bocca di Gesù è serrata ma pare replicare con fermezza ma senza perentorietà.
Se le nostre colpe meritano certamente il rimprovero Gesù non umilia il peccatore, nessuno deve essere sottratto alla resistenza di un affetto che solo può riscattarlo.
Sabato, 17 agosto 2024