Da Avvenire del 17/07/2021
L’introduzione in corso di leggi che incentivano le famiglie indiane a non superare i due figli prosegue, ma molti sollevano dubbi sulla loro necessità. Dubbi che diventano «preoccupazione» tra le minoranze religiose, quella musulmana in particolare. Queste ultime temono che i provvedimenti abbiano finalità persecutorie verso i non-indù. Suscita inoltre forti resistenze la possibilità di forzare le decisioni delle famiglie incentivando la sterilizzazione volontaria, le cui campagne nel passato sono costate sofferenze enormi, soprattutto tra i gruppi meno favoriti della popolazione. Mentre un acceso dibattito è in corso nel Parlamento federale su una introduzione generalizzata di un simile provvedimento, potrebbe toccare ora all’Uttar Pradesh, Stato più popoloso dell’India con almeno 240 milioni di abitanti, al 20 per cento musulmani.
Il disegno di legge annunciato prevede che chi avrà più di due figli si vedrà negare sostegni, posti di lavoro e altri benefici, mentre incentivi saranno garantiti a chi si sottoporrà alla sterilizzazione successivamente alla nascita del secondo figlio. Non è un caso, probabilmente, se proprio l’Assam (che confina con il musulmano Bangladesh) e l’Uttar Pradesh, oltre che il Gujarat, Stato di origine del premier Narendra Modi e primo laboratorio delle sue politiche, sono apripista per la nuova legge. Dal censimento del 1951 a quello del 2011 gli islamici sono saliti dal 9,9 al 14,2 per cento della popolazione nazionale, ma questo è dovuto a una molteplicità di fattori, inclusa la maggiore arretratezza economica. Tuttavia nessun dato mostra una esplosione demografica e nemmeno una tattica tesa al superamento numerico degli indù come vorrebbe far credere la propaganda estremista.
La poligamia, ad esempio, è pratica poco diffusa, mentre possono influire i matrimoni in età più giovane rispetto ad altre comunità e la minore prolificità di altri gruppi di popolazione. La preoccupazione ufficiale di bilanciare risorse, necessità di crescita e popolazione sembra almeno contraddittoria. Non è un caso se in quattro dei dodici Stati coinvolti finora a vario titolo nella «politica dei due figli» il provvedimento è stato revocato per la mancanza di risultati concreti. A livello ufficiale è stato più volte confermato che proprio la popolazione che oggi ha un’età media di 29 anni è per il grande paese asiatico una delle principali risorse con cui sostenere lo sviluppo futuro, tuttavia, anche in India come nella maggior parte del mondo ormai, la tendenza alla contrazione delle nascite sembra irreversibile. A livello nazionale, dice l’Indagine nazionale sulla salute della famiglia del 2020, il tasso di fertilità è diminuito in 14 dei 28 Stati indiani, scendendo a 2,1 figli per donna, anche meno in alcuni di essi. Nell’Uttar Pradesh rimane più elevato, ma si è quasi dimezzato tra il 1993 e il 2016 e arriverà alla media nazionale entro il 2025.
In questo contesto, resta difficile vedere come una politica ufficiale più restrittiva verso le nascite, ancor più se in qualche modo imposta e magari indirizzata anzitutto verso le minoranze, possa essere di reale beneficio al Paese.