Di Michele Brambilla
«Nell’odierna pagina di Vangelo (cfr Lc 11,1-13)», premette Papa Francesco alla recita dell’Angelus del 28 luglio, XVII domenica del Tempo ordinario, «san Luca narra le circostanze nelle quali Gesù insegna il “Padre nostro”», costituite dalla meraviglia dei discepoli di fronte al Maestro che prega e dal desiderio profondo di poter accedere all’intimità del rapporto tra Cristo e il Padre celeste. «Così, un giorno, aspettano che Gesù concluda la preghiera, in un luogo appartato, e poi chiedono: “Signore, insegnaci a pregare” (Lc 11,1)».
Sulle prime gli Apostoli credono che si tratti di una questione di metodo. Invece, «rispondendo alla domanda esplicita dei discepoli, Gesù non dà una definizione astratta della preghiera, né insegna una tecnica efficace per pregare ed “ottenere” qualcosa. Egli invece invita i suoi a fare esperienza di preghiera, mettendoli direttamente in comunicazione col Padre, suscitando in essi una nostalgia per una relazione personale con Dio, con il Padre». La novità della preghiera cristiana, sottolinea il Papa, risiede nel fatto che «[…] è dialogo tra persone che si amano, un dialogo basato sulla fiducia, sostenuto dall’ascolto e aperto all’impegno solidale. È un dialogo del Figlio col Padre, un dialogo tra figli e Padre». «Questa», ribadisce di nuovo Francesco, «è la preghiera cristiana». Una volta fissato bene il concetto, la pagina di Vangelo prosegue con la narrazione della parabola dell’amico importuno, con la quale Gesù vuole insegnare che «[…] bisogna insistere nella preghiera».
Al Papa viene allora in mente «[…] quello che fanno i bambini verso i tre anni, tre anni e mezzo: incominciano a domandare cose che non capiscono. Nella mia terra si chiama “l’età dei perché”, credo che anche qui sia lo stesso. I bambini incominciano a guardare il papà e dicono: “Papà, perché?, Papà, perché?”». È la domanda metafisica e ontologica per eccellenza. «Cosa succede? Succede che i bambini si sentono insicuri su tante cose che incominciano a capire a metà», allora attirano spasmodicamente l’attenzione dei genitori per avere risposta. Con Dio, secondo il Pontefice, bisogna avere proprio lo stesso atteggiamento. «Noi, nel Padre Nostro, se ci fermiamo sulla prima parola, faremo lo stesso di quando eravamo bambini, attirare su di noi lo sguardo del padre. Dire: “Padre, Padre”, e anche dire: “Perché?” e Lui ci guarderà» con la medesima tenerezza con la quale gli esseri umani guardano in genere un bambino piccolo.
Lunedì, 29 luglio 2019