Chi prega, ottiene risposta, come la “cananea” del Vangelo di san Matteo, modello di preghiera anche in questi momenti di grande tensione a livello internazionale.
di Michele Brambilla
Giorni che dovrebbero essere sereni sono, invece, angustiati da molte ansietà: il Covid-19, che rialza la testa in molte parti del mondo, la crisi economica che si profila dopo la fase acuta della pandemia e le tante tensioni a livello internazionale. Papa Francesco esprime, durante l’Angelus di domenica 16 agosto, tutta la sua preoccupazione: «continuo a pregare per il Libano, e per le altre situazioni drammatiche nel mondo che causano sofferenza alla gente. Il mio pensiero va anche alla cara Bielorussia. Seguo con attenzione la situazione post-elettorale in questo Paese e faccio appello al dialogo, al rifiuto della violenza e al rispetto della giustizia e del diritto».
Il Papa invita i fedeli ad un riposo che non nasconda i problemi correnti e sia soprattutto orante: «questi giorni sono giorni di ferie: possano essere un tempo per ritemprare il corpo, ma anche lo spirito mediante momenti dedicati alla preghiera, al silenzio e al contatto distensivo con la bellezza della natura, dono di Dio. […] Le nostre pause estive siano anche accompagnate dalla carità e dalla vicinanza» alle famiglie in difficoltà.
Bisogna, quindi, adottare il modello incarnato dalla “cananea”, una donna originaria della Fenicia che in Mt 15,21-28 importuna Gesù e i discepoli fino a che non ottiene la guarigione di sua figlia. «Il Vangelo di questa domenica», riepiloga Francesco, «descrive l’incontro tra Gesù e una donna cananea. Gesù si trova a nord della Galilea, in territorio straniero per stare con i suoi discepoli un po’ lontano dalle folle, che lo cercano sempre più numerose. Ed ecco avvicinarsi una donna che implora aiuto per la figlia malata: “Pietà di me, Signore!” (Mt 15,22)». Secondo il Papa, «è il grido che nasce da una vita segnata dalla sofferenza». Inizialmente Cristo non intende esporsi con una donna pagana perché è consapevole di essere stato inviato dal Padre anzitutto per le «pecore perdute della casa d’Israele» (Mt 15,24), ma poi si “arrende” di fronte alla grande fede dimostrata dalla madre fenicia, la quale ha intuito «[…] che la bontà del Dio Altissimo, presente in Gesù, è aperta ad ogni necessità delle sue creature».
Cristo non vuole essere scambiato per uno che fa i miracoli à la carte, pretende che la ricerca spirituale degli interlocutori giunga ad un autentico atto di fede, e nel caso della cananea lo ottiene: «quale è la fede grande? La fede grande è quella che porta la propria storia, segnata anche dalle ferite, ai piedi del Signore domandando a Lui di guarirla, di darle un senso». Il Papa sprona a portare senza timore davanti a Gesù tutti i nostri problemi: «ognuno di noi ha la propria storia e non sempre è una storia pulita; tante volte è una storia difficile, con tanti dolori, tanti guai e tanti peccati. Cosa faccio, io, con la mia storia? La nascondo? No! Dobbiamo portarla davanti al Signore: “Signore, se Tu vuoi, puoi guarirmi!”». Solo il Signore, infatti, può farsi carico delle nostre debolezze così come delle malattie sociali, «e noi potremo fare questo se abbiamo sempre davanti a noi il volto di Gesù, se noi capiamo come è il cuore di Cristo: un cuore che ha compassione, che porta su di sé i nostri dolori, che porta su di sé i nostri peccati, i nostri sbagli, i nostri fallimenti».
Il Santo Padre reitera, allora, l’invito a portare sempre con noi una copia tascabile dei Vangeli, per imparare ad essere come Lui. «Portate il Vangelo: nella borsa, nella tasca e anche nel telefonino, per vedere Gesù. E lì troverete Gesù come Lui è, come si presenta» per davvero.
Lunedì, 17 agosto 2020