L’inverno demografico nasce da un problema anzitutto culturale, ma la politica può aiutarne la soluzione. Alcuni dati per riflettere sulla principale priorità da affrontare per superare il declino italiano
di Marco Invernizzi
Accanto alle emergenze che sono sotto gli occhi di tutti, la pandemia e l’incremento della disoccupazione quando finirà il divieto dei licenziamenti, l’Italia ne conosce un’altra, molto meno nota e assente dall’attenzione della politica e dell’informazione: l’inverno demografico.
Ne ha parlato recentemente il Santo Padre Francesco all’Angelus del 7 febbraio, quando ha detto che «In Italia le nascite sono calate e il futuro è in pericolo. Prendiamo questa preoccupazione e cerchiamo di fare in modo che questo inverno demografico finisca e fiorisca una nuova primavera di bambini e bambine».
Ne parla spesso il Presidente dell’Istat Giancarlo Blangiardo, che il 1° febbraio ha scritto: «i primi dati sulla nuzialità, disponibili in via provvisoria per il periodo gennaio-ottobre, segnalano per il 2020 circa 85 mila matrimoni, a fronte dei 170 mila nei primi dieci mesi del 2019 e dei 182 mila nello stesso intervallo del 2018» (Primi riscontri e riflessioni sul bilancio demografico del 2020 sul sito dell’Istat).
Il dimezzamento del numero dei matrimoni (civili e religiosi, questi ultimi in continua diminuzione) è un dato di grande rilevanza per la denatalità, in un Paese in cui i 2/3 dei figli nascono all’interno di coppie stabili. Sembra così, aggiunge Blangiardo, che la soglia minima dei 400mila nati, la più bassa nella storia della Repubblica, nel 2020 potrebbe non essere raggiunta.
Sia come sia, il risultato è che, secondo i dati raccolti nel Rapporto 2020 del Centro internazionale studi famiglia, nel dicembre 2019 il 60,9% delle famiglie italiane aveva al massimo due componenti (p. 34). Solo il 4,8% delle famiglie aveva più di quattro componenti. Sempre alla stessa data, una famiglia su tre era single. Nel 2019 ogni 100 morti sono nati 69 bambini, facendo così dell’Italia uno dei Paesi più vecchi del mondo.
Non mi pare che il Paese sia attento a questo aspetto della vita sociale. Il problema è anzitutto culturale, come spiega con abbondanza di dati lo stesso Rapporto 2020, significativamente intitolato La famiglia nella società post-familiare.
Post-familiare perché la famiglia, intesa come dono reciproco di un uomo e una donna aperta alla trasmissione della vita, non è più l’esito ordinario delle scelte esistenziali dei giovani, in quanto viene considerata come qualcosa di non desiderabile. «La società attuale», scrive Pierpaolo Donati introducendo il Rapporto, «sembra sempre più abbandonare la famiglia alla auto-determinazione degli individui». Ma così la famiglia muore, o meglio viene de-costruita, mettendola sullo stesso piano di altre relazioni: le “famiglie arcobaleno”, le “coppie poliamorose” e qualsiasi altra forma di famiglia che il singolo soggetto desidera.
Come sarà il futuro, poste queste premesse? «E’ lo scenario di un crescente allontanamento dalla natura, una diffusa estraneazione dalle radici naturali dell’esistenza umana, con tutti i problemi che comporta», scrive sempre Donati. La natura è l’obiettivo di questa rivoluzione antropologica in corso, cioè il fatto che l’uomo nasca e trovi qualcosa in lui di già dato. Può accoglierlo e costruirci sopra la sua vita, oppure rifiutarlo e ribellarsi.
L’esito di questa ribellione, sostenuta ormai da decenni da intellettuali di ogni parte del mondo e “consacrata” ufficialmente alla Conferenza mondiale sulle donne organizzata dalle Nazioni Unite a Pechino nel 1995, è un cambio radicale di civiltà che riduce le famiglie naturali a essere una minoranza, come in effetti è accaduto.
E tuttavia queste famiglie, che hanno resistito e continuano a testimoniare la bellezza del fare famiglia, sono il punto di partenza per ricominciare a costruire un mondo migliore. La secolarizzazione, come la riduzione della famiglia naturale a testimone minoritario, non sono fatti irreversibili. «L’alternativa alla famiglia post-umana esiste», conclude Donati al termine del Rapporto 2020, «ed è quella che possiamo chiamare “famiglia relazionale”, nella quale le relazioni fra uomini e donne, così come fra generazioni, sono caratterizzate dalla fiducia, cooperazione e reciprocità come progetto riflessivo di vita».
Insomma, la partita non è chiusa e la speranza di un mondo migliore (anche di quello precedente l’inizio della secolarizzazione) rimane l’orizzonte verso il quale proiettare il nostro sguardo e il nostro desiderio. Si può fare, cominciando da noi stessi e dalla società, e chiedendo alla politica di non ostacolare e di aiutare questo sforzo.
Post scriptum
Il fatto che il problema sia anzitutto culturale non significa che la politica non possa favorire od ostacolare questa possibile rinascita. Fino ad oggi, tutta la storia dell’Italia moderna non è stata family friendly e dal 1968 in poi è diventata esplicitamente contraria alla centralità della famiglia nella vita pubblica. L’esempio di alcuni Stati, come la Francia e l’Ungheria, e di alcune province, come Bolzano, dimostrano che politiche economiche a favore della famiglia possono aiutare un’inversione del declino demografico. Il nuovo governo Draghi, nato con un ampio consenso politico e con tante aspettative popolari, ne tenga conto, per il bene dell’Italia.
Sabato, 20 febbraio 2021