di Michele Brambilla
La celebre pagina di Mt 22,15-21, con l’adagio, poi divenuto popolare, «rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (v. 21), è sempre stata sfruttata dai laicisti per giustificare la separazione netta e radicale tra Stato e religione, nel senso anche di valori religiosi. In realtà, il messaggio di questo brano evangelico, offerto all’ascolto dei fedeli di rito romano la XXIX domenica del Tempo ordinario, non dà alcun appiglio alle posizioni laiciste, ma giudica anch’esse secondo parametri completamente nuovi rispetto alla logica del mondo.
Il Mistero, infatti, si fa largo anche sotto l’effigie dell’imperatore romano Tiberio (14-37 d.C.). «Il riferimento all’immagine di Cesare, incisa nella moneta», ha affermato il Papa alla recita dell’Angelus domenica 22 ottobre , «dice che è giusto sentirsi a pieno titolo – con diritti e doveri – cittadini dello Stato; ma simbolicamente fa pensare all’altra immagine che è impressa in ogni uomo: l’immagine di Dio. Egli è il Signore di tutto, e noi, che siamo stati creati “a sua immagine” apparteniamo anzitutto a Lui. Gesù ricava, dalla domanda postagli dai farisei, un interrogativo più radicale e vitale per ognuno di noi, un interrogativo che noi possiamo farci: a chi appartengo io?».
Soprattutto in età moderna e contemporanea gli Stati hanno preteso di assorbire completamente l’orizzonte dell’individuo. Anche quando il laicismo crede di servire l’autodeterminazione, come nel caso dell’eutanasia, in realtà patrocina un’ennesima sottomissione a leggi statali uniformanti che non hanno nulla a che fare con il rispetto della dignità del singolo. Nel 2009, mentre si procedeva all’uccisione per sentenza di Eluana Englaro (1970-2009), il padre della ragazza si sentì interpellare, in un evidente gioco di complicità, dal conduttore televisivo Fabio Fazio: «La vita è mia o di Dio?». Papa Francesco, otto anni dopo, risponde risolutamente: «[…] prima di tutto – ci ricorda Gesù – tu appartieni a Dio. Questa è l’appartenenza fondamentale».
Ricordarsi il proprio essere semplice creatura non è un gesto di sottomissione cieca, ma paradossalmente la vera e unica garanzia del permanere della propria individualità. «È Lui che ti ha dato tutto quello che sei e che hai. E dunque la nostra vita, giorno per giorno, possiamo e dobbiamo viverla nel ri-conoscimento di questa nostra appartenenza fondamentale e nella ri-conoscenza del cuore verso il nostro Padre, che crea ognuno di noi singolarmente, irripetibile, ma sempre secondo l’immagine del suo Figlio amato, Gesù. È un mistero stupendo».
Talmente stupendo da essere annunciato a tutti i popoli in ogni tempo. «Oggi si celebra la Giornata Missionaria Mondiale, sul tema “La missione al cuore della Chiesa”. Esorto tutti a vivere la gioia della missione testimoniando il Vangelo negli ambienti in cui ciascuno vive e opera», ricordando così che la missione non è solo quella ad gentes, che prosegue instancabile, ma un atteggiamento quotidiano del credente, che in Occidente si fa portatore di una nuova evangelizzazione. È il motivo per cui congregazioni pensate originariamente per le “missioni estere” vengono sempre più impiegate anche nelle parrocchie europee: non si deve più vedere alcuna differenza tra il rivolgersi ad intra e il farlo ad extra, poiché il mandato missionario è il medesimo.
Non a caso il Pontefice accenna nei saluti alla beatificazione, avvenuta a Barcellona il 21 ottobre, di 109 martiri della Guerra civile spagnola (1936-1939), tutti appartenenti alla congregazione dei Claretiani, caso esemplare della dinamica sopra descritta. Risulta pure significativo dell’evento barcellonese che a salire agli onori degli altari siano sacerdoti e seminaristi catalani massacrati, nel 1936, da altri catalani comunisti e rigorosamente indipendentisti facenti parte di un partito, l’ Esquerra Republicana de Catalunya, che sostiene l’attuale giunta di Carles Puigdemont, che spesso cita la repubblica dell’epoca dell’alzamiento come riferimento ideale e dà dei “franchisti” agli oppositori.