Da “La nuova Bussola quotidiana” del 6 febbraio 2017. Foto da Zoom 24
Buon ultimo, anche il ministro dell’Interno Marco Minniti punta a un’intesa fra lo Stato e le comunità islamiche. Lo avevano già affermato alcuni suoi predecessori al Viminale, nascondendo che in realtà non volevano affatto giungere a quella meta. Non tanto perché l’idea di consegnare una parte dei proventi dell’8 per mille alle moschee disturbasse i loro sonni, quanto per la litigiosità fra gruppi e sigle che fanno riferimento a interpretazioni più o meno fondamentaliste del Corano, oltre che a diverse obbedienze e provenienze nazionali. Così, verificata l’impossibilità di costituire un unico soggetto in grado di rapportarsi con le istituzioni, si è andati per tentativi, costruendo di volta in volta un tavolo che coinvolgeva alcuni ed escludeva altri, a seconda delle simpatie del governo di volta in volta in carica.
Ogni volta, insomma, si ricomincia daccapo. L’Unione delle comunità e delle organizzazioni islamiche in Italia (Ucoii) era riuscita a ritagliarsi un ruolo con Beppe Pisanu e lo aveva perso con Roberto Maroni, per poi tornare sulla ribalta con Angelino Alfano.
Minniti, il primo febbraio scorso, ha convocato anche l’Ucoii insieme ad altre sigle, proponendo loro un percorso, anzi un “Patto nazionale per l’islam italiano” che, oltre alle buone intenzioni, punta a «proseguire nell’azione di contrasto dei fenomeni di radicalismo religioso» e di «promuovere la formazione di imam e guide religiose» che «possano anche assumere il ruolo di efficaci mediatori per assicurare la piena attuazione dei principi civili di convivenza».
È un libro dei sogni, se si pensa che negli archivi del Viminale giacciono ancora alcune proposte, approvate da un gruppo di lavoro nel 2011, che riguardavano da un lato lo statuto degli imam e le difficoltà giuridiche che impediscono di farli rientrare nella categoria dei “ministri di culto” prevista dalla legge italiana, e dall’altro la disciplina dei luoghi di preghiera, con alcune proposte di regolamentazione.
Senza tenerne apparentemente conto, il nuovo Patto indica come primo obiettivo la pubblicazione di nomi e recapiti degli imam, i quali terranno o tradurranno il loro sermone in italiano e renderanno accessibili i dettagli dei loro finanziamenti e secondariamente prevede che i luoghi di preghiera saranno accessibili anche ai visitatori non musulmani e manterranno standard decorosi e rispettosi delle norme vigenti in materia di sicurezza e di edilizia. In pratica, dovrebbero scomparire le prediche in arabo negli scantinati abusivi. Il che escluderebbe quanto richiamato nei documenti del 2010, cioè che «la proliferazione di luoghi di culto al di fuori delle regole dia luogo a incomprensioni con la popolazione circostante, nonché a fenomeni di disturbo alla quiete pubblica che generi a sua volta conflittualità». In realtà, ora ci si propone di sensibilizzare i comuni italiani, riuniti all’Anci, affinché affrontino il problema di sedi e aree adeguate per le moschee.
E qui, a fronte della contrarietà dell’opinione pubblica (che è costituita da coloro che poi vanno alle urne a eleggere i propri rappresentanti), si areneranno anche le migliori intenzioni di dialogo interreligioso. Tanto più che non è stata ancora risolta la questione principale, cioè «l’esistenza di alcune pretese di extraterritorialità, che in alcuni strati minoritari della popolazione islamica coincidono con l’adesione alla dottrina, propria del diritto sharaitico più antico, che impone una rigida separazione fra “credenti” e “miscredenti”», mentre «autorevoli esponenti islamici in Italia sostengono che la moschea non soggiace che alle leggi dello Stato in cui sorge». In pratica, alcuni ritengono che laddove un musulmano ha pregato, quello sia un territorio sacro della comunità islamica. Altri, più cesaropapisti anche per via di consuetudini locali, sono più propensi a non considerarsi un corpo estraneo al resto della società circostante.
Perciò, è illusorio pensare che la firma sotto il documento da parte di Unione delle comunità islamiche italiane (Ucoii) Cii, Cici, Coreis, Uami, Associazione Cheikh Ahmadou Bamba, Associazione Madri e Bimbi somali, Associazione italiana imam e guide religiose, Moschea di Palermo, Admi, Associazione italo-pakistana Muhammadiah, impegni il milione e 600mila fedeli musulmani stimati nelle ultime rivelazioni. Minniti ritiene di averne con sé il 70%. Il rimanente 30% è costituito da quasi mezzo milione di persone. Ed è un motivo per preoccuparsi.
Andrea Morigi