Massimo Introvigne, Quaderni di Cristianità, anno II, n. 5, estate-inverno 1986
Jean-Loup Bernanos, Georges Bernanos à la merci des passants, Plon, Parigi 1986, pp. 508, FF. 160
Georges Bernanos à la merci des passants, la biografia di Georges Bernanos scritta dal figlio ultimogenito dello scrittore francese, Jean-Loup — nato il 30 settembre 1933 —, colma una serie di vuoti nella bibliografia, pure abbondantissima, dedicata all’autore del Journal d’un curé de campagne. Il primo vuoto colmato riguarda la vita stessa di Georges Bernanos, per la prima volta ricostruita nei particolari, nelle amicizie, nella cronaca familiare e sociale, al di là delle biografie letterarie fino a ora pubblicate. La tecnica adottata da Jean-Loup Bernanos — che inserisce nella sua opera i testi completi di numerose lettere del padre, in parte inedite, di interviste giornalistiche e anche di articoli poco noti o di difficile reperimento — testimonia a favore dello scrupolo di restituire un’immagine di Georges Bernanos storicamente accurata e criticamente fondata, anche se appesantisce non poco la lettura del volume, fra l’altro ricco di un’appendice di documenti (pp. 463-491), di una bibliografia (pp. 493-496) e di un indice dei nomi (pp. 497-505).
Importanti sono le pagine sulla famiglia e sui genitori di Georges Bernanos — nato a Parigi il 20 febbraio 1888 —, che rivelano influenze decisive per la sua formazione. È il padre, cattolico e monarchico, a iniziarlo giovanissimo alle opere di Edouard Drumont, che alla sera venivano lette ad alta voce a tutta la famiglia Bernanos. È la madre, originaria di Pellevoisin — dove nel 1876 la Santa Vergine era apparsa alla domestica Estelle Faguette, ma le apparizioni saranno formalmente riconosciute dalla competente autorità ecclesiastica solo nel 1983, dopo un lunghissimo processo —, a trasmettergli dapprima una tenera devozione alla Madonna e più tardi una particolare affezione a santa Teresa di Gesù Bambino, entrata al Carmelo nell’anno stesso della nascita di Georges Bernanos. L’infanzia e la giovinezza dello scrittore, segnate da lunghi soggiorni nell’amata casa di campagna di Fressin, gli lasciano un’ulteriore caratteristica che lo accompagnerà nella sua vita letteraria: l’amore per i piccoli villaggi di Francia e la familiarità con il clero delle borgate contadine, affettuosa benché non tale da alimentare idealizzazioni di sorta (pp. 7-77).
A Parigi l’influsso paterno, le letture — decisive quelle di Ernest Hello e di Léon Bloy — e gli amici portano Georges Bernanos a militare giovanissimo nei Camelot du Roi, la gioventù dell’Action Française di Charles Maurras. Coinvolto negli scontri fra i Camelot du Roi, i militanti della sinistra radicale e anticlericale e la polizia, il giovane Georges Bernanos viene più volte arrestato. Colpito dai suoi precoci talenti di giornalista e di scrittore, Léon Daudet, uno dei capi dell’Action Française, nel 1913 gli propone di trasferirsi a Rouen per assumere la direzione di un piccolo settimanale monarchico, L’Avant-Garde de Normandie. Georges Bernanos accetta, e comincia a impegnarsi in aspre e continue polemiche con i più noti esponenti del giornalismo radicale della Normandia; beniamino dei circoli monarchici di Rouen, conosce e sposa Jeanne Talbert d’Arc, discendente in linea diretta dal fratello di Giovanna d’Arco e figlia della presidentessa delle dame dell’Action Française di Rouen. Il matrimonio è peraltro ritardato dalla prima guerra mondiale, dove il dragone Georges Bernanos si guadagna una croce di guerra al merito e rischia di morire sotto le macerie di una casamatta colpita da un proiettile tedesco (pp. 79- 145). A guerra finita — incoraggiato dal benedettino dom Jean-Martial Besse, il «cappellano» dell’Action Française, e da altri amici — Georges Bernanos, dopo un periodo travagliato, decide di lasciarsi alle spalle gli studi di diritto e la carriera, appena intrapresa, di assicuratore, per dedicarsi a tempo pieno al mestiere di scrittore. La scelta porta con sé una povertà che non lo abbandonerà fino alla morte, ma consente allo scrittore di pubblicare, nel 1926, il suo primo romanzo e una delle sue opere maggiori, Sous le soleil de Satan (pp. 145-178). Jean-Loup Bernanos rivela come Jacques Maritain, direttore editoriale della collana delle edizioni Plon dove il romanzo venne pubblicato, tentò di ostacolarne l’edizione sospettando l’opera di «manicheismo», e riuscì a imporre una serie di tagli e di modifiche che in seguito i migliori critici bernanosiani avrebbero rimpianto. La polemica sull’Action Française avrebbe poi ulteriormente allontanato Georges Bernanos da Jacques Maritain, che egli giunse a definire «maestro di peccati mortali» (p. 214); una successiva riconciliazione formale non permise comunque di ricomporre le profonde divergenze fra lo scrittore e il filosofo.
Sui rapporti fra Georges Bernanos e l’Action Française la biografia di Jean-Loup Bernanos fornisce una serie di precisazioni preziose e in parte inedite. Già alla fine del 1919 il giovane scrittore si dimette dall’Action Française, pur continuando a frequentarne i dirigenti e a collaborare alle sue pubblicazioni. La ragione delle dimissioni — la documentazione raccolta da Jean-Loup Bernanos lo mette in luce in modo inoppugnabile — non sta però in una presunta resipiscenza «democratica» dello scrittore; al contrario — non troppo paradossalmente — Georges Bernanos rimprovera a Charles Maurras — che continuerà sempre a chiamare il «mio caro Maestro» (p. 183) — il compromesso eccessivo con i mezzi della politica democratica e repubblicana, con le elezioni, con l’atteggiamento attendista della borghesia sedicente «di destra», e più tardi lo attaccherà apertamente per avere accettato dalla Repubblica un seggio all’Académie française. Il torto di Charles Maurras — dirà spesso lo scrittore — è di avere soltanto parlato del coup de force monarchico in anni in cui era forse ancora possibile organizzarlo. Nel 1926 scoppia il conflitto fra l’Action Française e le gerarchie ecclesiastiche, preoccupate per il fatto che molti giovani cattolici considerano come capo e come maestro l’agnostico Charles Maurras, ma anche desiderose di sbarazzarsi di legami troppo stretti con i monarchici francesi per tentare un nuovo ralliement alla Repubblica. Agli inizi del 1927 Papa Pio XI pubblica il decreto di condanna; interpretandolo alla lettera, in alcune diocesi francesi — anche se non in tutte — si arriverà a privare dei sacramenti e della sepoltura religiosa anche i semplici abbonati alle pubblicazioni dell’Action Française. Con un gesto che vuole essere cavalleresco Georges Bernanos, nel momento in cui molti l’abbandonano, ritorna — pur sempre senza adesioni formali né tessere — nelle file dell’Action Française dopo la condanna ecclesiastica, e propone, con le conferenze e con gli scritti, una vigorosa difesa dei cattolici che ritengono loro dovere disubbidire (pp. 179-218). Risale a questi anni una viva avversione — che non diventa però mai mancanza di rispetto — di Georges Bernanos per le scelte politiche del Pontefice Pio XI, che giudicherà sempre troppo diplomatiche e troppo poco entusiasmanti: «È impossibile credere — scriverà in una lettera a un amico — che Giovanna d’Arco avrebbe accettato il programma politico di Pio XI» (p. 192). Sui rapporti fra le gerarchie ecclesiastiche e l’Action Française Jean-Loup Bernanos si limita a citare qualche pubblicazione dell’epoca, e sull’Action Française in genere attinge all’opera di Eugen Weber (trad. francese, L’Action Française, Stock, Parigi 1964), pesantemente condizionata da pregiudizi negativi e non priva di gravi inesattezze. Sui rapporti con la Chiesa fino alla riconciliazione con Papa Pio XII, le informazioni fornite da Jean-Loup Bernanos meritano di essere completate, per esempio, con l’opera di Lucien Thomas, L’Action Française devant l’Église (de Pie X à Pie XII) (Nouvelles Éditions Latines, Parigi 1965), mentre la complessità dell’itinerario spirituale — più che politico — di Charles Maurras può essere seguita con l’ausilio della monumentale opera di Pierre Boutang, Maurras. La destinée et l’oeuvre (Plon, Parigi 1984).
Nel 1931 la popolarità di Georges Bernanos presso i giovani dell’Action Française è all’apogeo: viene pubblicata La grande peur des bien-pensants, un’opera lungamente elaborata in cui lo scrittore rende omaggio alla vita e alla politica di Edouard Drumont, il maestro — caro ai suoi genitori — noto per la sua intransigente polemica contro il prepotere della nuova borghesia della finanza, in gran parte di origine ebraica, che la Repubblica laica e radicale aveva fatto emergere. A torto — come nota opportunamente Jean-Loup Bernanos — accusata di antisemitismo, l’opera non perde al contrario di vista la distinzione fra un anti-ebraismo — allora risorgente — a base razziale, che non può essere che condannato dai cattolici, e la semplice rilevazione dell’esistenza di un «problema ebraico», accompagnata dalla polemica contro l’atteggiamento anticattolico di una certa dirigenza ebraica e in particolare di quella che detiene molte delle leve dell’alta finanza francese e mondiale. Il 9 dicembre 1931 Georges Bernanos parla a Parigi, a fianco di Charles Maurras, a migliaia di giovani dell’Action Française (pp. 219-229). Nel maggio del 1932 sopravviene la rottura, imprevista e violenta, occasionata da un incidente apparentemente minore: un duro attacco del giornale dell’Action Française contro l’industriale dei profumi François Coty, proprietario del quotidiano Le Figaro, e contro un candidato alle elezioni da lui sostenuto. Georges Bernanos, che scrive su Le Figaro ed è amico di Francois Coty, reagisce d’impeto, come gli è consueto, con un articolo in difesa dell’industriale. La polemica degenera: i temibili polemisti de L’Action Française — soprattutto Maurice Pujo — e il non meno aggressivo Georges Bernanos passano dalla critica all’ironia e dall’ironia all’ingiuria: è la rottura, in termini che rendono impossibile per sempre ogni ricomposizione (pp. 231-254). Anche in questa occasione è opportuno seguire Jean-Loup Bernanos quando nota che non è una «conversione» al democratismo a provocare la rottura fra lo scrittore e l’Action Française: è piuttosto — messa in luce dall’episodio occasionale — la persuasione di Georges Bernanos che ormai, nel clima pesante degli anni che precedono il secondo conflitto mondiale, non esiste più una vera opposizione alla politica dominata dalla borghesia radicale e laicista e dall’alta finanza senza patria; anche l’Action Française — è l’impressione dell’autore di La grande peur des bien-pensants — ha ceduto ed è scivolata in un’opposizione «di cortesia», verbosa e sterile, e nelle manovre elettorali. Sono gli anni in cui Georges Bernanos denuncia, con crescente pessimismo, la decadenza della «vecchia Francia» e della vecchia Europa cattoliche, monarchiche, aristocratiche e popolari, sostituite da un generale trionfo della mentalità «borghese» e benpensante, pronta a surrogare Dio con il successo e la morale cattolica con la buona educazione. Alla ricerca di sistemazioni più favorevoli alle sue precarie condizioni finanziarie, ma soprattutto per protesta contro la mentalità di una nuova Francia che non ama, lo scrittore con la sua ormai numerosa famiglia — sono nati nel frattempo tre figli e tre figlie — lascia i dintorni di Tolone, dove si era stabilito, per abitare prima alle Baleari e poi, dal 1938 al 1945, in Brasile. Durante il soggiorno a Palma di Majorca Georges Bernanos fa la scelta più sorprendente della sua vita, che forse neppure l’abbondante documentazione raccolta dal figlio riesce totalmente a spiegare. Allo scoppio della guerra di Spagna lo scrittore si schiera dapprima — come sembra naturale per la sua formazione cattolica e monarchica — con le forze del generale Francisco Franco e segue con simpatia il figlio Yves che si arruola fra i volontari della Falange. Successivamente la repressione — che giudica indiscriminata — dei militanti repubblicani nelle Baleari conquistate dai nazionalisti, una serie di atrocità a cui assiste personalmente, e anche una riflessione sulle dittature lo portano a prendere una dura posizione contro le forze franchiste e — ancora una volta — contro il Vaticano di Papa Pio XI che le appoggia; se ne farà eco il volume Les grands cimetières sous la lune, che desterà nel 1938 un’enorme impressione. La presa di posizione del romanziere famoso — ha pubblicato nel frattempo, nel 1936, con straordinario successo, il suo Journal d’un curé de campagne, dopo L’imposture, La joie e Un crime, seguiti nel 1937 dalla Nouvelle histoire de Mouchette — desta sorpresa in chi lo ricorda soprattutto come autore di un’apologia di Edouard Drumont; i difensori della Repubblica spagnola credono di aver trovato un insperato compagno di strada. Se pure partecipa a qualche iniziativa antifranchista con intellettuali di diverso orientamento, Georges Bernanos ben presto li delude precisando di non aver nulla mutato delle sue convinzioni cattoliche e monarchiche e del suo atteggiamento critico nei confronti delle democrazie. Nel fascismo italiano — avversato in particolare per la distruzione della millenaria monarchia d’Etiopia — e nel nazionalsocialismo, a cui crede di poter assimilare il franchismo spagnolo, lo scrittore vede semplicemente l’altra faccia delle repubbliche democratiche e laiche: il medesimo trionfo, attuato con modalità diverse, dello spirito anti-monarchico e anti-aristocratico, che «modernizza» l’Europa sostituendo alla religione il culto del potere economico e politico (pp. 255-297).
Su questo momento, difficile da decifrare e da comprendere, dell’itinerario culturale e politico dello scrittore francese, l’opera di Jean-Loup Bernanos getta dunque qualche luce. Tuttavia credo non si possa seguire la valutazione del figlio di Georges Bernanos quando non si limita a spiegare, ma cerca di giustificare e, perfino, sembra condividere le scelte del padre nel conflitto spagnolo. Non tutto è falso nelle critiche di Georges Bernanos al campo nazionalista e ai suoi alleati. Nella identificazione delle componenti «moderne», anti-tradizionali e anticattoliche, del nazionalsocialismo tedesco e del fascismo italiano Georges Bernanos anticipa talora la storiografia più recente; nello stesso fronte di forze raccolte attorno al generale Francisco Franco, lo scrittore francese vede presenti — non del tutto a torto — elementi disgregatori disponibili a rompere con il passato cattolico della Spagna in nome di una mitologia del progresso e dello sviluppo economico, elementi del resto che emergeranno progressivamente dopo la vittoria nazionalista. Ma l’analisi rimane insufficiente, unilaterale e fondamentalmente ingiusta.
Georges Bernanos sembra non comprendere la differenza qualitativa fra la «modernità» aggressiva, totalitaria, «intrinsecamente perversa» del fronte repubblicano spagnolo, egemonizzato dai socialcomunisti, e gli elementi di «modernità» presenti — non da soli, ma accanto ad altri tradizionali e cattolici — nel campo nazionalista: una differenza talmente netta da rendere moralmente obbligatoria per i cattolici del tempo — e così si pronunciò l’autorità ecclesiastica — una precisa scelta. Certo, oggi si può dire che «l’Alzamiento, la guerra e il regime di Franco sono fitti distinti, e per tanto suscettibili di valutazione differenziata» (Miguel Ayuso Torres, El sentido de un conflicto, in Idem (a cura di), La Cruzada que rehizo una patria, in Iglesia-Mundo, epoca III, nn. 323-324, luglio 1986, p. 7); ma durante il conflitto ogni scelta diversa da quella indicata dalla Chiesa costituiva un obiettivo e colpevole aiuto ai socialcomunisti e ai loro alleati e complici. L’errore di Georges Bernanos è tanto più tragico in quanto sembra derivare da moventi psicologici più che da un mutamento di prospettiva dottrinale; se può avere confuso e fuorviato molti cattolici, la scelta è stata a sua volta pagata dallo scrittore francese con una generale incomprensione, che lo ha fatto assimilare da molti e per anni a quella cultura democristiana che egli non ha mai cessato, fino alla morte, di combattere e di disprezzare. Un equivoco, appunto, tragico, che Georges Bernanos ha ripetutamente denunciato, ma di cui non ha voluto o potuto estirpare la principale causa, rivedendo almeno ex post il suo giudizio sulla guerra di Spagna.
Gli anni del soggiorno in Brasile — pur tra difficoltà di ogni genere — sono ricordati come anni felici da Jean-Loup Bernanos: il padre, infermo alle gambe per le conseguenze irreversibili di un incidente di motocicletta, si distrae andando a cavallo e amministrando la fazenda che ha affittato, perduta nell’immenso sertão; le delusioni e le miserie della politica europea lo raggiungono come attutite e addolcite (pp. 297-345). Georges Bernanos, non di meno, sente dolorosamente il crollo della Francia di fronte all’avanzata della Germania nazionalsocialista; la sua scelta — condivisa, questa volta, da un numero rilevante di monarchici francesi — è contro il governo di Vichy e per i maquis che resistono al nazionalsocialismo; all’interno delle disparate forze che lottano contro l’occupazione, è per il generale Charles de Gaulle, suo vecchio compagno di scuola dai gesuiti di Parigi, in cui vede la possibilità di una rinascita nazionale, contro le forze radicali e socialiste che rappresentano la continuazione dell’esecrato laicismo dell’anteguerra. A favore di Charles de Gaulle lo scrittore interviene con articoli e con appelli alla radio; dopo lo sbarco in Normandia il generale ne sollecita più volte il ritorno in Francia, a cui si decide infine nel 1945, accolto trionfalmente da coloro che vedono in lui uno dei padri spirituali della resistenza contro il nazionalsocialismo (pp. 347-408). Ma ancora una volta l’equivoco di un Georges Bernanos «convertito» ai valori della democrazia moderna si dissipa nella delusione di molti; lo scrittore, infatti, si affretta a dichiarare che lo «Stato hitleriano non differiva come specie dagli Stati moderni che si dichiarano democratici, in via di dissoluzione verso la forma totalitaria e concentrazionaria» (p. 437). Rientrato in Francia Georges Bernanos — mentre rifiuta le cariche e le onoreficenze ufficiali — moltiplica le sue prese di posizione contro la democrazia e contro la modernità, di cui il democratismo, il marxismo e il nazionalsocialismo sono, a suo avviso, soltanto incarnazioni diverse. Nel 1947 dichiara a un intervistatore: «Bisogna sabotare lo Stato moderno. È un mostro enorme, ma la sua testa è piccolissima, ed è quella che bisogna tagliare se vogliamo salvare non solo la nostra civiltà, ma la civiltà» (p. 432). E ai giornalisti scandalizzati di un gruppo di riviste americane conferma: «[…] è la democrazia che ci ha assassinati. I totalitarismi sono figli della democrazia. J’emmerde la démocratie» (p. 429). Mentre vanta come modello la «società che formava un tutto organico» del secolo XIII (p. 422) e denuncia le nuove schiavitù della tecnocrazia, definisce — ancora — la «civiltà moderna» come «l’insieme dei valori umani mutilati e perduti, ridotti alla misura di un’umanità despiritualizzata» (p. 448). Quando scrive queste parole, Georges Bernanos ha lasciato di nuovo una Francia che non lo soddisfa e si è stabilito in Tunisia dove denuncia, in una serie di conferenze profetiche, il nuovo universo concentrazionario, non migliore di quello nazionalsocialista, che l’Unione Sovietica va organizzando nell’Europa che ha conquistato (p. 445). Sono le ultime battaglie: minato da un male difficilmente curabile Georges Bernanos ritornerà in Francia soltanto per morirvi, all’ospedale americano di Neuilly, dopo un’estrema lotta con la malattia, il 5 luglio 1948 (pp. 409-461). Cominciava allora a essere conosciuto il suo ultimo romanzo, Monsieur Ouine, pubblicato nel 1946, un’inquietante testimonianza sulla presenza del demoniaco nel mondo, mentre postumi usciranno nel 1949 i Dialogues des Carmélites, una meditazione sul martirio delle carmelitane di Compiègne, durante la Rivoluzione francese, che sarà celebrata come una delle sue opere migliori.
Il volume di Jean-Loup Bernanos non indugia sulle opere letterarie del padre, né pretende di analizzarle nel loro valore poetico e spirituale, come aveva fatto per esempio, nel 1954, Hans Urs von Balthasar nel suo Bernanos (Hegner, Colonia-Olten 1954; 2a ed., Gelebte Kirche. Bernanos, Johannesverlag, Einsiedeln 1971; ed. francese, Le chrétien Bernanos, Le Seuil, Parigi 1956), che rimane lo studio più completo a tutt’oggi tentato sulla «teologia» dello scrittore francese. I lettori dei romanzi di Georges Bernanos troveranno in questa biografia soprattutto una miniera di dettagli sulla formazione, le influenze, le letture, gli ambienti dello scrittore, e una serie di particolari personali che soltanto un membro della famiglia avrebbe potuto fornire. È una lettura che non mancherà di commuovere chi è affezionato all’universo letterario di Georges Bernanos.
Dove l’opera di Jean-Loup Bernanos apporta tuttavia un contributo decisivo e documenti inediti è a proposito dello spinoso problema delle idee politiche del padre. È diventato infatti corrente, e quasi banale, distinguere nella vita di Georges Bernanos tre diversi «periodi» attraverso i quali le sue posizioni politiche si sarebbero notevolmente modificate: la fase monarchica e antidemocratica, fino alla rottura con Charles Maurras nel 1934; una successiva epoca «democratica», caratterizzata dall’impegno contro il nazionalismo di Francisco Franco e poi per la Resistenza; infine, una fase senile dominata soprattutto da un pessimismo cupo in cui riemergono i motivi antimoderni. Il volume di Jean-Loup Bernanos ha il suo maggior significato nel mostrare che è del tutto improprio parlare di fasi o di epoche, anche se naturalmente non mancano diversità di atteggiamenti. Georges Bernanos può aver talora modificato le sue valutazioni di fatto: ha certamente formulato giudizi diversi e spesso sconcertanti per chi condivideva i suoi medesimi principi; ma non ha mai veramente cambiato le sue posizioni di principio. Dalla giovinezza alla morte è rimasto monarchico — negli ultimi mesi entusiasmava il figlio raccontando le gesta della Vandea —, cattolico, antimoderno e anche antidemocratico, nel senso di avversario di quella democrazia in cui vedeva l’essenza della modernità. Soprattutto — nonostante gli equivoci legati alla sua scelta di campo relativamente alla guerra di Spagna — «Bernanos fu sempre ostile alla democrazia cristiana» (p. 75), fin da quando, giovanissimo, rifiutava di seguire il suo primo venerato maestro, l’abbé Lagrange, sulla strada della simpatia per il Sillon, il movimento democristiano fondato da Marc Sangnier e condannato dal Pontefice san Pio X nel 1910 come espressione di modernismo sociale. Quello che lo irritava, nella condanna ecclesiastica dell’Action Française, era che per alcuni si trattasse di una sorta di rivincita e di riabilitazione del Sillon (p. 189). Con Papa Pio XI, lo scrittore criticava la mancanza di «vita spirituale» nell’Action Française. Ne apprezzava, tuttavia, lo spirito «antimoderno» e antidemocratico. La modernità, per Georges Bernanos, è soprattutto il tentativo di costruire un «mondo senza Dio»; il suo risultato è un «mondo senza l’uomo», «un’organizzazione totalitaria e concentrazionaria del mondo, che ha preso la civiltà umana come di sorpresa, grazie alla più grande crisi che la storia abbia mai conosciuto, e di cui il doppio aspetto materiale e spirituale può definirsi così: la despiritualizzazione dell’uomo che coincide con l’invasione della civiltà da parte delle macchine, l’invasione delle macchine che prende alla sprovvista l’Europa scristianizzata» (p. 436). Il nazionalismo tedesco e italiano di Adolf Hitler e di Benito Mussolini, il nazionalismo francese di Philippe Pétain e perfino il nazionalismo — pur non privo di una componente cattolica — di coloro che seguirono in Spagna Francisco Franco appaiono allo scrittore francese non una reazione, ma un’ulteriore e sottile manifestazione della modernità. Lo Stato dei nazionalisti, infatti, è ancora uno Stato laico: e allora il nazionalismo è soltanto una «forma particolarmente abietta dell’avarizia collettiva […], sfruttamento dell’idea tradizionale di patria — preliminarmente svuotata di qualunque significato religioso» (p. 448). Di qui i suoi giudizi — che certo non furono condivisi da molti che muovevano dai medesimi principi, e che ancora oggi lasciano perplessi — sulla guerra di Spagna e sul significato globale della seconda guerra mondiale. Il giudizio sul conflitto spagnolo oppose Georges Bernanos a Papa Pio XI, come già era avvenuto a proposito dell’Action Française. I fatti storici non hanno dato sempre ragione a Georges Bernanos; si può tuttavia ammirare il suo modo di integrare le difficoltà dei giudizi storici nella sua spiritualità della povertà e della sofferenza: «Il faut avoir souffert — amava ripetere, richiamando una tesi commentata da padre Humbert Clérissac O. P. — non seulement pour l’Église, mais par l’Église» (p. 192).
Massimo Introvigne