di Daniele Fazio
Nella liturgia in rito romano ‒ anche se non è obbligatorio, ma nella Messa celebrata dal Papa è usuale ‒ si viene introdotti nella Veglia della Natività del Signore con un’antica preghiera che prende il nome di Kalenda, ovvero il primo giorno del mese, secondo il calendario degli antichi Romani. Il testo originale è inserito nel Martirologio romano, cioè nel lungo e antico elenco dei martiri e dei santi riconosciuti dalla Chiesa Cattolica. Quella preghiera lega infatti strettamente la vita dell’uomo alla venuta nel mondo di Cristo, che è fonte della grazia che unica può rendere martiri e santi. Il testo è giunto fino a noi perché inserito nel Breviarium romanum come preghiera da recitarsi la Vigilia di Natale all’Ora Prima. In essa è custodito il senso universale e storico della nascita di Gesù Cristo, indicando – al di là di sentimentalismi fugaci – il vero senso di quella Nascita.
Otto giorni prima della Kalenda di gennaio, dunque, il Verbo di Dio, generato “prima” dei secoli e consustanziale al Padre, nasce secondo la carne, assumendo su di sé la natura umana. L’Eterno, che ha creato l’universo e il tempo, entra nella storia nascendo come un Bambino. Il tempo fu creato per Lui e in vista di Lui, e l’uomo a Sua immagine e somiglianza. Tutto ciò che è accaduto prima della Sua venuta è stata una preparazione, non solo all’interno delle vicende del popolo di Israele, ma anche per tutto ciò che ha riguardato la storia degli altri popoli. Vengono così elencati, nell’Inno, i fatti salienti della storia della salvezza: la Creazione, il Diluvio, la chiamata di Abramo, la liberazione dalla schiavitù con Mosè, l’unzione del Re Davide e la profezia di Daniele che annuncia la venuta del Figlio dell’uomo.
Accanto a questi episodi biblici, trova posto anche l’universo storico-culturale in cui il Signore si degna di nascere. Vi è la datazione a partire dalla prima Olimpiade, che costituisce riferimento alla cronologia del mondo greco, una notizia temporale privilegiata in quanto non si conoscono per il mondo ellenistico indicazioni cronologiche anteriori e condivise dalle varie poleis. Ma vi è soprattutto la data calcolata a partire dalla fondazione di Roma, ovvero il modo utilizzato dal calendario del potere politico-amministrativo che dominava il mondo allora conosciuto, che si aggiunge all’evocazione dell’impero di Ottaviano Augusto (63 a.C.-14 d.C.), giunto, nell’anno della nascita del Signore, al quarantaduesimo anno, proprio perché in tale contesto si verificò un lungo periodo di pace su tutta la Terra (conosciuta ai Romani).
In questo contesto storico-culturale e geografico, volendo santificare il mondo, il Figlio di Dio si fa carne, rappresentando per la storia un punto di non ritorno, un evento straordinario. Da quel momento tutti gli uomini e i popoli sono chiamati a confrontarsi con Lui, a sforzarsi di seguirlo o tragicamente a rinnegarlo.
Quella annunciata dalla Kalenda non è, però, una storia che riguarda semplicemente il passato, ma – tramite la Liturgia – essa giunge al tempo presente rinnovandosi misteriosamente affinché gli uomini di oggi possano ancora e sempre vedere e toccare il Verbo di Dio nei segni sacramentali dell’Eucaristia. A sottolineare questa dimensione, la Kalenda prevede anche il computo delle fasi della Luna, che, cambiando di anno in anno, attualizza il riferimento al mistero dell’Incarnazione e della nascita del Verbo. Il tempo ormai è pieno della grazia di Dio, che l’uomo liberamente ha il compito di riconoscere e di accogliere.
Meditando ancora una volta le parole della Kalenda e magari riascoltando la sua melodia gregoriana, alla presenza di Dio che viene nel mondo, ci si sorprende allora a domandarsi “a chi voglio appartenere?” Al corteo del Re messianico o alle ciurme caotiche di Satana? In questo tempo di Natale, il Signore, re della storia, ci faccia gustare l’irresistibile attrazione verso di Lui, in modo che possiamo spontaneamente offrirci per combattere, in questa nostra storia, per Cristo Re e per Maria Regina, fino alla morte.