Dal Corriere della Sera del 12/10/2017. Foto da Wikipedia
Può sembrare strano accomunare la memoria dell’inventore di uno dei più efficaci fucili d’assalto del Novecento (e oltre…) e quella di uno dei tanti occidentali che la Russia comunista ebbe al suo servizio come spie durante la Guerra Fredda.
Eppure, il danno arrecato dall’inglese Harold Adrian Russell Philby, detto “Kim” (1912-1988), è davvero paragonabile, se non superiore, a quello arrecato da una micidiale arma da guerra.
Comunista convinto fin dai secondi anni 1930, quando la Russia staliniana affascinava per il suo sistema sociale e perché leader del fronte anti-fascista internazionale, per ventisette anni metterà il suo ruolo sempre più elevato all’interno dell’establishment britannico — entrerà nella diplomazia e ricoprirà gradi dirigenti nei servizi segreti, addirittura nel contro-spionaggio — al servizio della “casa-madre” della Rivoluzione “rossa”. Agente fuori del comune per intelligenza e scaltrezza, nonché per l’importanza delle informazioni trasmesse, Philby — nome di battaglia “Stanley” — sarà la “mente” della cellula composta da ricchi e altolocati intellettuali comunisti, i “Cambridge Five”, così chiamati per avere frequentato l’università di Cambridge, incubatrice negli anni 1930 del marxismo “colto” inglese.
Per decenni Donald MacLean (1913-1983), Guy Burgess (1911-1963), Anthony Blunt (1907-1983), John Cairncross (1913-1995) e lo stesso Philby — Burgess e Blunt erano legati da una relazione omosessuale — passeranno segreti militari occidentali ai sovietici, nuocendo così alle strategie anti-comuniste del Regno Unito e della NATO. Uno dei più noti “successi” di Philby sarà “bruciare” la progettata invasione dell’Albania da parte di elementi anti-comunisti locali, appoggiati dagli Alleati, nel primissimo dopoguerra.
Nel 1963, scoperto definitivamente — segnali del suo “doppio gioco” erano ripetutamente trapelati fin dai primi anni 1950, ma i superiori avevano sempre mostrato una grande indulgenza per lui —, Philby deciderà di fuggire a Mosca dove rimarrà fino alla morte, lavorando come istruttore per il KGB. Philby non chiederà mai il rimpatrio, ma finirà depresso e alcoolizzato a causa della freddezza dimostratagli dai colleghi del KGB moscovita.
Morirà d’infarto cardiaco nel maggio del 1988; l’URSS, ormai alla vigilia del fatidico 1989, gli garantirà funerali di Stato e lo insignirà delle più alte decorazioni sovietiche; nel 1990 gli dedicherà un francobollo commemorativo; infine, nel 2010, una placca in marmo, che lo ritrae in figura di Giano bifronte, sarà affissa sulla facciata del palazzo che ospita a Mosca i servizi segreti esteri, l’SVR.
Ora la Federazione Russa, post-comunista ma sempre più neo-imperiale, gli dedica una mostra ricca di cimeli — inclusi i documenti relativi all’Albania —, mentre commemora con un imponente monumento il tenente-generale Michail Kalašnikov (1919-2013), che rese anch’egli parecchi servizi, sebbene alquanto più “tangibili” di quelli di Philby, all’“impero del male”.