L’abbazia di San Benedetto Po continua a testimoniare la ricchezza di cultura, di arte, di santità che ha evangelizzato il cuore dell’Europa ed edificato la civiltà cristiana occidentale e con la sua bellezza sa ancora parlare alle menti e ai cuori degli uomini di oggi.
di Francesca Morselli
Nel mezzo della Pianura Padana, al confine tra la Lombardia e l’Emilia Romagna, la cittadina di San Benedetto Po racchiude un vero e proprio gioiello dell’arte cristiana: l’abbazia di Polirone.
Fin da quando nel X secolo un piccolo nucleo di 7 monaci benedettini venne a stabilirsi in questa terra tra il Po e il Lirone, il monastero diventò un centro di grande spiritualità, importante anche dal punto di vista geografico, trovandosi lungo la via Romana, che da Mantova portava in Emilia, a congiungersi con la celebre via Francigena, percorsa dai pellegrini diretti a Roma.
Il Monastero di Polirone venne fondato per volontà di Tedaldo di Canossa (?- 1012), nonno di Matilde e conte di Mantova. A Tedaldo successe il figlio Bonifacio, che contribuì allo sviluppo del monastero. Dopo di lui la figlia Matilde, cresciuta e affermatasi come potente contessa a servizio della Chiesa e del Papa, donò l’abbazia a Papa Gregorio VII, che a sua volta la affidò solennemente al potente abate Ugo di Cluny, iniziatore della riforma cluniacense. Il centro monastico di Polirone fu così associato alle alle Consuetudinis, del monastero francese di Cluny, di cui recepì anche la riforma liturgica e architettonica.
Matilde di Canossa, devota e legatissima a questa importante e influente abbazia, che fiorì in modo significativo durante la sua vita, volle essere sepolta qui dopo la morte avvenuta nel 1115. Il suo corpo riposò all’interno del complesso abbaziale nella piccola chiesa di Santa Maria fino al 1632, anno in cui, con licenza del monastero, fu traslato in San Pietro dove tutt’ora giace, in un sepolcro scolpito dall’artista Bernini collocato nella navata destra della basilica.
Nel 1420 l’abbazia, dopo varie vicissitudini, passò all’ordine Cassinense che sviluppò oltremodo lo Scriptorium e l’intensa attività dei copisti, promuovendo lo studio delle “umanae litterae” e una rinnovata spiritualità.
L’edificio principale, di cui rimane oggi solo un pavimento musivo e le fondazioni paleocristiane, fu ricostruito in forma tardo-gotica e la basilica fu ulteriormente modificata dall’architetto Giulio Romano nel 1540, ricevendone una decisa impronta rinascimentale.
Il monastero fu saccheggiato e soppresso nel 1797 dalle truppe napoleoniche, fatti che segnarono la fine della presenza dei monaci.
Dopo varie vicissitudini politiche e amministrative, il complesso in seguito è passato in proprietà al Comune di San Benedetto Po, che ha musealizzato gran parte della struttura ancora esistente, lasciando disponibile al culto la grandiosa basilica, ora affidata alla Diocesi di Mantova.
Interessanti, oltre alla Basilica, per la ricchezza architettonica e le innovazioni rinascimentali, in particolare per le statue dei Santi in terracotta dello scultore Begarelli, sono la chiesa annessa di Santa Maria, con i mosaici dell’XI secolo, il refettorio, con il grande affresco dell’”Ultima cena” ripresa dall’affresco di Leonardo, l’infermeria, il convento delle canossiane, la casa parrocchiale e i chiostri.
Uno dei principali chiostri della struttura è dedicato a san Simeone eremita, rappresentato attraverso immagini della sua vita lungo le pareti del chiostro su cui si affacciavano lo Scriptorium, le celle dei monaci, l’infermeria e la farmacia.
San Simeone trascorse a Polirone gli ultimi anni della sua esistenza, dopo aver vissuto come eremita nella nativa Armenia e dopo gli anni di pellegrinaggio che lo portarono da Gerusalemme a Roma a Santiago di Compostela e in molti altri santuari dell’Occidente cristiano.
Giunto a Polirome nel 1012 si fermò in questo monastero fino alla morte avvenuta nel 1116. Fu canonizzato nel 1124, e il suo corpo, venerato nella basilica abbaziale, è custodito sotto l’altare di una cappella a lui dedicata. Qui San Simeone è rappresentato sotto forma di una cerva, divenuta suo simbolo, in ricordo di un episodio accadutogli da eremita quando, in un inverno freddo e nevoso, rimasto chiuso insieme a due discepoli in una grotta fra i tormenti del freddo e della fame, vide apparire all’ingresso una cerva, appunto, che, piegando la testa, si offrì a loro in cibo.
Esclusa dai grandi “tour” turistici, l’abbazia di San Benedetto Po continua a testimoniare la ricchezza di cultura, di arte, di santità che ha evangelizzato il cuore dell’Europa ed edificato la civiltà cristiana occidentale e con la sua bellezza sa ancora parlare alle menti e ai cuori degli uomini di oggi.
Sabato, 14 agosto 2021