Anche le “uscite didattiche” possono essere un mezzo per aprire la mente e il cuore alla bellezza
di Francesca Morselli
Ogni anno, verso primavera, mi si ripropone il dilemma se accompagnare o meno le mie classi della scuola superiore alle cosiddette “visite didattiche” (le gite di una volta). Il problema si pone perché vedo i ragazzi di anno in anno sempre più annoiati, distratti, poco interessati e poco motivati. Poi, come sempre, anche quest’anno decido di farlo perché in fondo spero di stimolare in loro l’interesse verso la bellezza e la storia, portandoli a visitare luoghi di interesse storico artistico che altrimenti da soli non vedrebbero (preferiscono normalmente spendere per i locali, gli aperitivi o altro). Quindi mi munisco di grande pazienza e coraggio e individuo una meta, studio un itinerario nei minimi dettagli e prenoto gli ingressi ai musei, ai palazzi e alle chiese, sapendo che la maggior parte di loro preferisce vagare per la città e incontrare altri ragazzi, farsi selfie tra loro ed ingozzarsi di qualsiasi cibo incontrino sul loro percorso, e poi, entrati in una chiesa o in un museo, sperano di uscirne il prima possibile.
Mi chiedo sempre se ne valga la pena, se la fatica della preparazione, organizzazione, sorveglianza, porti a qualche risultato, se veramente quei due o tre giorni possano essere formativi e mi consolo pensando che comunque, anche se per poco, almeno non saranno inghiottiti dalla realtà virtuale dei loro smartphones.
E poi all’improvviso succedono i miracoli!
Quest’anno il mio miracolo si chiama Sara, frequenta la classe III del Liceo Artistico e la sua sensibilità la rende trasparente agli occhi dei suoi rumorosi compagni. Segue interessata il nostro percorso, si é preparata, come i compagni, per la presentazione di alcune opere d’arte da esporre durante l’itinerario, ma contrariamente agli altri, le ha studiate e si è appassionata.
Alla fine della gita chiedo ai ragazzi un diario fotografico commentato, e lei mi presenta una relazione che mi apre il cuore e mi conforta di tutte le fatiche. Con parole semplici e una sintassi a volte scorretta si è chiesta come fosse possibile che gli artisti potessero creare opere cosi sublimi, e la risposta l’ha trovata nella contemplazione delle opere d’arte stesse: dietro a tanta bellezza non può esserci solo l’artista che le raffigura, ma anche la mano di Dio che sicuramente l’ha guidato, almeno attraverso la creazione di ciò che viene rappresentato. Aggiunge inoltre che se tutti vedessero ciò che a lei appare chiaro, guarderebbero il mondo in modo diverso e capirebbero che il mondo è “il creato” di Dio, compreso l’uomo e tutte le opere che da lui derivano. Conclude la relazione spiegando che tutta la bellezza che noi ammiriamo nelle chiese e nelle opere d’arte esiste perché Dio, attraverso degli uomini, ha permesso di realizzarla.
Una tesi estetica profonda e chiara che dimostra come veramente la bellezza possa “salvare il mondo” e che possa essere “vista” da tutti, anche da Sara che ha scoperto che l’arte è veramente un mezzo per arrivare a Dio.
Grazie Sara, a te e a tutti quei ragazzi che danno un senso al mio lavoro e mi fanno continuare ad organizzare “uscite didattiche”, che possano aprire gli occhi e la mente ad almeno uno degli alunni che accompagno.
Sabato, 10 giugno 2023