di Mario Vitali
A Genga, in provincia di Ancona, vi è l’eremo chiamato di Santa Maria infra saxa, che da secoli attira molti pellegrini in cerca di silenzio e di quiete. Il più antico documento che ne attesta l’esistenza risale al 1029.
Nato come oratorio, l’edificio fu poi utilizzato come monastero di clausura, retto da monache benedettine.
Santa Maria infra saxa era peraltro associato al «Monasterium S. Mariae Bucca sassorum» di cui purtroppo si è persa ogni traccia.
L’architettura è semplice, l’edificio è in pietra e l’interno è scavato nella roccia viva.
Nell’eremo era venerata una immagine in legno della Madonna che ha subito numerosi tentativi di trafugamento finché, negli anni 1940, la statua è bruciata a causa di un incendio divampato dalla fiammella di una candela votiva e quindi è stata sostituita dall’attuale statua in pietra.
A pochi metri dall’eremo sorge un tempio dedicato alla Madonna che Papa Leone XII (1823-1829) al secolo Annibale Sermattei della Genga (1760-1829), dispose di edificare secondo il progetto dell’architetto romano Giuseppe Veladier (1762-1839), da cui il nome di «Tempio del Veladier». L’edificio, di forma ottagonale, è rivestito in travertino bianco ed è ricoperto da una cupola realizzata con lastre di piombo.
All’interno si venera la copia della statua in marmo della Madonna con il Bambino realizzata dalla bottega di Antonio Canova (1757-1822), poiché, per ragioni di sicurezza, la statua originale, un tempo posizionata nel tempio, è stata trasferita al Museo di Arte sacra di Genga.
Il tempio si erge all’ingresso di una grande grotta. La gola che accoglie eremo e il tempio è lontana dalle principali vie di comunicazione e, dall’antichità e fino al secolo X, gli abitanti della zona vi si sono rifugiati per sfuggire alle incursioni barbariche.
Una bella scoperta data poi dal 1971, quando un gruppo di giovani tra i 16 e i 24 anni, organizzano sotto gli auspici del C.A.I., il Club Alpino Italiano, una esplorazione speleologica. Incuriositi dallo spirare del vento che si percepisce all’interno della stessa decidono di seguirne la corrente e in questo modo realizzano che, dietro il Tempio di Veladier, rimovendo i detriti di frane succedutesi nel tempo, si entra in un mondo spettacolare di cavità e di percorsi tra i più belli e suggestivi al mondo. Percorrendolo si giunge alla prima grotta, l’«Abisso Ancona», immenso: basti pensare che il suo volume può contenere il Duomo di Milano, poiché misura oltre 2 milioni di metri cubi, e che le sue larghezza, lunghezza e profondità misurano rispettivamente circa 180, 120 e 200 metri lineari.
Il percorso tra le grotte è lungo circa 30 km, ma il pubblico può percorrerne solo tre: gli altri sono infatti per ora riservati agli speleologi. Le spelonche presentano forme come di figure scolpite nella roccia, stalattiti e stalagmiti alte fino a 20 metri, piccoli laghi e percorsi a chiocciola dove è difficile mantenere l’orientamento. Il visitatore ha dunque la sensazione che lo spazio e il tempo siano diversi da come li si percepiscono comunemente.
Insomma, all’esterno colpisce la bellezza dell’opera realizzata dall’uomo, all’interno la mano del Creatore mostra un’altra bellezza, espressa del resto con gli stessi materiali di cui l’uomo si è servito per edificare la propria. L’accostamento dà l’impressione che Dio abbia voluto firmare con la propria impronta la roccia della montagna da Lui creata e che invece su quella montagna così autenticata l’uomo abbia pensato di renderGli omaggio sublime attraverso il materiale e il talento di cui Dio lo ha provvisto.
Parafrasando le parole pronunciate da san Francesco di Sales (1567-1622) sull’arte pittorica forse si può dire che Dio è l’architetto, la nostra fede è l’opera realizzata, le pietre sono la parola di Dio e lo scalpello è la Chiesa.
Sabato, 14 dicembre 2019