di Daniele Fazio
In un passo del Fedro – un dialogo in cui parla, in forma mitica, del bello – il filosofo greco Platone (428/427-348/347 a.C.) scrive: «L’anima se ne sta smarrita per la stranezza della sua condizione e non sapendo che fare, smania e fuori di sé, non trova sonno di notte, né riposo di giorno, ma corre, anela là dove spera di poter rimirare colui che possiede la bellezza. E appena l’ha guardato, invasa dall’onda del desiderio amoroso, le si sciolgono i canali ostruiti: essa prende respiro, si riposa delle trafitture e degli affanni, e di nuovo gode, per il momento almeno, questo soavissimo piacere. […] Perché, oltre a venerare colui che possiede la bellezza, ha scoperto l’unico medico dei suoi dolorosi affanni. Questo patimento dell’anima, mio bell’amico a cui sto parlando, e ciò che gli uomini chiamano amore» (Platone, Fedro, in Id., Opere complete, a cura di Gabriele Giannantoni (1932-1998), Laterza, Roma-Bari 1971, pp. 250).
Ne emergono almeno due elementi importanti: il primo riguarda la corrispondenza tra bellezza e amore. Quanto al primo elemento, di fatto il filosofo greco dimostra come i gradi della bellezza (da quella carnale a quella intellettuale) vadano di pari passo ai gradi dell’amore. L’anima anela, dunque, all’amore e, contemplando la bellezza – di chi la possiede –, subisce un effetto pacificatore, si rimarginano le ferite e da inquieta ritrova la felicità. Attraverso la bellezza si giunge all’amore e l’amore fa scaturire la bellezza. Senz’altro, quindi, si può affermare che la bellezza sia tutt’uno con l’amore. Il secondo elemento che s’intravede e che la bellezza è, in un certo senso, posseduta non da un “qualcosa”, ma da qualcuno – chi possiede la bellezza – che è capace di far innalzare l’anima dalle incrostazioni sensibili alla vita ideale.
Dalla “bella vita” a una vita bella
Il grande “esteta” sant’Agostino d’Ippona (354-430) percorre le vie della bellezza, anzitutto nella propria esistenza, risalendo dalle bellezze alla Bellezza e passando dalla “bella vita” a una vita bella. Il santo riesce a instaurare, sulla scia delle suggestioni platoniche e una volta approdato al cristianesimo, un rapporto dialogico con la bellezza. Nell’orizzonte agostiniano la bellezza è chiaramente “qualcuno”. L’uomo dal cuore inquieto e affannato, l’homo viator, riposa attraverso la contemplazione e recupera il senso dell’esistenza attraverso un rapporto intimo che dà redenzione, salvezza. La notissima e struggente invocazione di Agostino «tardi ti amai, Bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti amai» (Confessioni, X, 27) non fa altro che confermare questa prospettiva. Qui Bellezza e Amore si sovrappongono, e per entrambi si deve usare il maiuscolo perché manifestano il riferimento a Dio.
Nell’orizzonte cristiano si compie pienamente questa corrispondenza tra bellezza e ordo Amoris in quanto Dio le assume entrambi; e, avendo come unica ragione l’atto creativo, l’amore non può non permeare il creato di questa propria caratteristica fondamentale. Dio è Amore (cfr. 1 Gv 4, 8) e quindi Bellezza. In virtù di tale orizzonte, è possibile instaurare con la Bellezza un rapporto dialogico e personale. Ancora meglio: alla luce dell’Incarnazione, della Passione, della morte e della risurrezione di Gesù, assaporare il valore medicinale, e più precisamente redentivo, di cui la Bellezza è carica.
La bellezza come segno della trascendenza
Le bellezze presenti nel mondo sono, allora, segno di altro, che sta oltre e che apre alla trascendenza. In questo senso, l’armonia delle forme entro cui resta l’estetica antica non viene negata, ma completata e superata dalla Bellezza ultima di cui le prime – le bellezze penultime – possono esserne via privilegiata, ma anche ostacolo, nella misura in cui vengono assolutizzate.
La via della bellezza è così ben tracciata dal teologo d’Ippona: «Interroga la bellezza della terra, interroga la bellezza del mare, interroga la bellezza dell’aria diffusa e soffusa. Interroga la bellezza del cielo, interroga l’ordine delle stelle, interroga il sole, che col suo splendore rischiara il giorno; interroga la luna, che col suo chiarore modera le tenebre della notte. Interroga le fiere che si muovono nell’acqua, che camminano sulla terra, che volano nell’aria: anime che si nascondono, corpi che si mostrano; visibile che si fa guidare, invisibile che guida. Interrogali! Tutti ti risponderanno: Guardaci: siamo belli! La loro bellezza li fa conoscere. Questa bellezza mutevole chi l’ha creata, se non la Bellezza Immutabile?» (Sermo CCXLI, 2, in Patrologiae Latinae 38, 1134).
Sabato, 14 marzo 2020