Di Stefano Chiappalone
Tra le riflessioni contenute nelle opere dello storico austriaco dell’arte Hans Sedlmayr (1896-1984) colpisce in particolare una certa tendenza delle arti a diventare assolute, nel senso etimologico: cioè sciolte da qualsiasi legame tra di esse e con il resto della realtà. Per far questo ciascuna arte finirà per espellere ciò che è proprio delle altre: così la pittura non vorrà avere nulla in comune con il disegno (eliminando la linea) e con la scultura (eliminando i volumi), e quest’ultima, a propria volta, eliminerà qualsiasi residuo pittorico e persino architettonico (vale a dire un alto e basso oggettivamente identificabili). Di conseguenza, la pittura andrà alla ricerca del puro colore…senza peraltro risolvere l’annosa questione se siano più pure le campiture geometrice dell’olandese Piet Mondrian (1872-1944) o quelle più libere del franco-russo Vasilij Kandinskij (1866-1944), solo per citare due esempi. L’architettura infine rinuncerà non solo al colore, ma a qualsiasi ornamento che possa sfigurare l’uniformità delle pareti. Tentativi analoghi si riscontreranno anche in campo musicale e letterario. Che l’esperimento sia riuscito o meno, la tendenza alla separazione tra le arti è entrata nella mentalità comune che concepisce il dipinto, la statua o il palazzo come entità a sé stanti. È una prospettiva radicalmente differente da quell’insieme organico che faceva di un edificio un microcosmo di allegorie pittoriche e scultoree. Tale organicità è forse difficile da cogliere per noi che siamo abituati ad ammirarne i “cadaveri” nei musei, staccati dal contesto originario (infatti “quel” dipinto era concepito per essere parte di “quella” chiesa o di “quel” palazzo per cui era stato commissionato). L’analisi di Sedlmayr meriterebbe ulteriore approfondimento e diffusione, ma almeno offre lo spunto per un salto ulteriore. All’originaria unità tra le arti corrisponde, infatti, la naturale unità tra i sensi chiamati a goderne.
L’intera esperienza estetica è un’esperienza totale che l’uomo vive con tutti e cinque i sensi. Non c’è scultura che sia puramente tattile senza voler essere anche contemplata; né pittura soltanto visiva, perché la velatura di colore è pur sempre materia dotata di spessore, per quanto sottile… Chi s’ingegna a imbrattar tele poi conosce benissimo quanta creatività ispiri il gesto di aprire il tubetto da cui emana quel tipico odore dei colori a olio! A guardar bene, neanche la più eterea delle arti, la musica, è soltanto uditiva: è fatta di vibrazioni che hanno origine dal tatto del musicista le cui mani fanno riecheggiare nell’aria le forme eleganti di un’arpa o di un violino: belli e sinuosi a vedersi e a sentirsi. Anche quando non sono tutti direttamente coinvolti, i sensi non sono inattivi, non vanno in stand-by. Anzi, la vista può farsi più acuta mentre si ascolta una buona musica e il tatto più sensibile aspirando un buon profumo. Ce lo ricordano quelle forme d’arte quotidiane che consistono nel bere e nel mangiare – poiché l’uomo non si limita a riempire istintivamente lo stomaco, ma chiede cibo e bevande gustosi e ben presentati. Versare la birra delizia l’udito, quindi l’occhio la vede splendere come l’oro – talvolta oro rosso o nero – e nella calura estiva il solo afferrare il boccale tra le mani comunica una sensazione di freschezza. Infine è la volta dell’olfatto e del gusto, il quale però, ancora una volta, passa per il tatto nel momento in cui il prezioso liquido tocca materialmente le papille gustative.
Come sempre la liturgia – la cui parte visibile si può senza irriverenza definire artistica, sia pure di un’arte divina che collega Cielo e Terra – ci offre il modello di questa esperienza totale, orientando i cinque sensi ad maiorem Dei gloriam: gli occhi contemplano i gesti e il colore dei paramenti, mentre nelle narici sale il profumo dell’incenso, il tatto coinvolge tutto il corpo tra inchini e genuflessioni, così come l’udito si nutre d’inni, canti e… silenzi. Persino il gusto viene santificato, diventando la porta regale attraverso la quale il Signore stesso si fa cibo sotto le specie del pane e del vino. Quando il rapporto con la bellezza è ben orientato, può guarire i cinque sensi troppo spesso sconnessi tra loro in mezzo a un rumore in cui non c’è nulla da vedere e un grigiore in cui non c’è nulla da sentire.