Lo Spirito Santo soffia nelle pagine della Scrittura: ecco allora l’importanza della lectio divina, ma anche di una corretta presentazione del testo biblico ai fedeli
di Michele Brambilla
Proseguendo nelle catechesi dedicate allo Spirito Santo e alla sua azione nella Chiesa, Papa Francesco tratta il tema, molto complesso, dell’ispirazione divina delle Sacre Scritture. Come ricorda, infatti, nell’udienza del 12 giugno, Dio ci parla certamente nella Bibbia. Il Papa elenca una serie di citazioni interne alla Scrittura che evidenziano proprio questo aspetto: «Tutta la Scrittura è ispirata da Dio» (2Tm 3,16); «Mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio» (2 Pt 1,21). Anche il Credo niceno-costantinopolitano afferma che lo Spirito Santo «ha parlato per mezzo dei profeti», intendendo con tale espressione tutti gli scritti dell’Antico Testamento.
Soprattutto, «lo Spirito Santo, che ha ispirato le Scritture, è anche Colui che le spiega e le rende perennemente vive e attive. Da ispirate, le rende ispiratrici», ovvero in grado di suscitare nei fedeli il desiderio di renderle operative (il Pontefice cita in proposito il Concilio Vaticano II, in particolare la Dei Verbum al n.21). «Può capitare, infatti, che un certo passo della Scrittura, che abbiamo letto tante volte senza particolare emozione, un giorno lo leggiamo in un clima di fede e di preghiera, e allora quel testo improvvisamente si illumina, ci parla, proietta luce su un problema che stiamo vivendo, rende chiara la volontà di Dio per noi in una certa situazione», rimarca il Santo Padre.
«Un modo di fare la lettura spirituale della Parola di Dio è quello che si chiama la lectio divina», una pratica che «consiste nel dedicare un tempo della giornata alla lettura personale e meditativa di un brano della Scrittura. E questo è molto importante: tutti i giorni prenditi un tempo per ascoltare, per meditare, leggendo un passo della Scrittura», suggerisce Francesco, che ripete in proposito anche l’usuale invito a portarsi sempre dietro una copia tascabile dei Vangeli. «Ma la lettura spirituale per eccellenza della Scrittura è quella comunitaria che si fa nella Liturgia, nella Messa. Lì vediamo come un evento o un insegnamento, dato nell’Antico Testamento, trova il suo pieno compimento nel Vangelo di Cristo. E l’omelia, quel commento che fa il celebrante, deve aiutare a trasferire la Parola di Dio dal libro alla vita. Ma l’omelia per questo dev’essere breve: un’immagine, un pensiero e un sentimento», mentre troppo spesso, rimprovera il Papa, si dilunga su particolari oziosi o estranei alla pagina commentata. Il Pontefice indica anche quello che è il limite di tempo ideale per un’omelia: massimo 8 minuti.
Il Santo Padre ribadisce che «tra le tante parole di Dio che ogni giorno ascoltiamo nella Messa o nella Liturgia delle ore, ce n’è sempre una destinata in particolare a noi. Qualcosa che tocca il cuore. Accolta nel cuore, essa può illuminare la nostra giornata, animare la nostra preghiera. Si tratta di non lasciarla cadere nel vuoto», ma di renderla operativa nella quotidianità.
Colpisce ancora una volta il saluto ai pellegrini polacchi, ai quali dice che «la vostra Patria, da secoli cristiana, è chiamata: Polonia semper fidelis», il che significa «distinguere la verità dalla falsità, la libertà dalla schiavitù. Siate fedeli a Dio».
«E non dimentichiamo la martoriata Ucraina, non dimentichiamo Palestina, Israele. Non dimentichiamo il Myanmar e tanti Paesi che sono in guerra. Preghiamo per la pace, oggi ci vuole la pace. La guerra sempre, dal primo giorno, è una sconfitta», ripete Francesco con insistenza.
Giovedì, 13 giugno 2024